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Xi Jinping vuole papparsi un pezzo di Russia: il piano per fregare di Putin

Carlo Nicolato
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«Una sola Cina» è il principio sul quale si fonda l’intera politica estera cinese. «Una sola Cina» è il motivo di fondo per cui Pechino si è ripresa Hong Kong e Macao, ed è anche quello formale per cui vuole annettersi Taiwan (anche se in realtà ci sono di mezzo ben altri motivi di carattere economico). Il principio, che peraltro è riconosciuto dagli stessi Stati Uniti, potrebbe applicarsi anche per Vladivostok, o Haishenwai come la chiamano i cinesi, sottratta a Pechino nel 1860 con la Convenzione che prende il nome dalla stessa capitale, che poi è la stessa, con qualche anno di ritardo e una seconda guerra dell’oppio di mezzo, che ha consegnato Hong Kong alla Gran Bretagna (1841).

La prospettiva non nasce dal nulla, ma dal fatto che in seguito agli accordi commerciali di libero siglati da Xi Jinping e Putin negli ultimi mesi, dal primo di giugno la Cina potrà far transitare merci nel porto russo senza pagare la dogana, a patto che le merci raggiungano poi le regioni cinesi adiacenti, in particolare il Jilin e il Heilongjiang (la Manciuria interna), che non hanno più sbocchi sul mare del Giappone essendone divise dalle Coree e appunto da quel lembo di terra russo chiamato Territorio del LItorale (un tempo conosciuto come Manciuria esterna).

 

 

RIVENDICAZIONI - Washington teme che tale accordo sia un espediente per far entrare più facilmente in Russia materiale vietato dalle sanzioni, ma sui giornali più vicini al potere, come il Global Times, sono iniziati piuttosto a comparire commenti sulla possibilità di riprendersi quel territorio anche come segno di riconoscimento della Russia alla Cina o più che altro, diremmo noi, come prova dell’asservimento di Putin a Pechino. Sono gli interventi dei giornalisti più nazionalisti del partito, ma se vengono lasciati scrivere sulla versione internazionale del Quotidiano del Popolo, che è a sua volta il quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese, una ragione deve esserci. A Pechino nulla accade per caso.

«Haishenwai è ora diventato ufficialmente un porto di transito all'estero per la Cina», si legge, «questa è una nuova svolta nella cooperazione sino-russa», «è il segno che la Russia non ha più scelta» e che non può più di opporsi a Pechino. Un altro editorialista afferma che «l’apertura di Haishenwai è stata la migliore notizia per la regione nord-orientale della Cina negli ultimi 163 anni», ed è particolarmente gradita perché arriva durante il G7 in Giappone. C’è anche chi considera che con tale accordo l’ex città della dinastia Qing città è ormai «in uno stato di guarigione».

 

 

TOPONOMASTICA - Già nel febbraio scorso il ministero delle Risorse Naturali aveva pubblicato una nuova versione della sua mappa del mondo, chiamando per la prima volta con il nome originario cinese otto città cinesi occupate dall’Impero russo. Con l’invasione dell’Ucraina Russia e Cina hanno dichiarato e ribadito più volte un’amicizia «senza limiti», ma entrambi i Paesi sanno che gli accordi di amicizia sono cose fragili. Meno di due decenni dopo che la Cina e l'Unione Sovietica hanno firmato il loro ultimo trattato di amicizia (1950), i due Paesi se le sono date di santa ragione in aspre lotte di confine risolte con un accordo solo nel 2008. La Russia ha sempre sostenuto che Vladivostok l’ha fondata lei e che Haishenwai e tutta la zona era abitata solo da poveracci e pescatori, ma l’eventuale crisi russa dovuta a una possibile sconfitta in Ucraina e le ridotte difese militari nell’area (trasferite in gran parte a occidente), potrebbero essere un’occasione irripetibile per «una sola Cina». 

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