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In Rwanda ci sono 600 orfani in più

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Muore padre Misuraca. Durante il genocidio del 1994 salvò centinaia di bambini

Maria Acqua Simi
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 Padre Vito Misuraca era un'istituzione, in Rwanda. Un padre e un amico. Lui di sè diceva di essere innanzitutto un uomo, ma la cronaca lo immortala anche come  un sacerdote che dal 1978 svolgeva con passione la sua opera missionaria.  Il prete siciliano (era nato a Cesarò 60 anni fa)  a Kigali (Rwanda) aveva fondato e dirigeva l'orfanotrofio "Mere du Verbe" che ospita circa 700 orfani, una scuola materna ed elementare ed un piccolo ospedale con clinica pediatrica ed oftalmologica. Misuraca arrivò in Rwanda nel 1978, poco dopo la sua ordinazione sacerdotale, con i Padri Rogazionisti. Aprì il suo orfanotrofio, dedicato a Maria Madre della Parola, nei primi anni 90 e da allora ha dato istruzione, formazione professionale, assistenza medica e speranza a migliaia di ragazzi e ragazze che nel Paese africano hanno perso il padre: soprattutto dopo la sanguinosa guerra etnica tra Hutu e Tutsi che nel 1994 lasciò sul campo quasi un milione di morti. Il sacerdote siciliano non abbandonò i suoi ragazzi nella fase più terribile del conflitto, e riuscì miracolosamente ad averne salva la vita. Per questo, nel 2004, in Campidoglio gli venne consegnato il Premio Montessori. L'opera di padre Vito vive grazie ai soldi, all'aiuto, al sostegno degli italiani: da Verona e da Brescia, da Bagnoli Irpino all'Istituto Palazzolo di Milano fino alla Puglia ed alla sua Sicilia. Padre Misuraca è morto, pochi giorni fa, nel silenzio assordante di una terra, quella rwandese, che lui aveva imparato ad amare. La sua esperienza laggiù  è raccolta in un libro,  dove si racconta l'esperienza terribile del genocidio del 1994. Allora,   insieme con altri padri, uccisi dagli interahamwe, don Vito difese, salvandoli, oltre 600 orfani a Kigali. "Diario dall'inferno" raccoglie il diario scritto da don Vito e una serie di articoli apparsi su Avvenire tra l'aprile e il maggio del 1994. Don Vito scrive ciò che è accaduto nelle giornate, una dopo l'altra, di quel periodo terribile. Così, pagina dopo pagina, quei bambini dai grandi occhi dolcissimi e pieni di terrore che le immagini della Tv ci avevano mostrato in quei giorni, oggi prendono un nome, un'età, le loro storie vengono ricomposte in una sorta dim grande puzzle, emergono   i particolari delle loro vicende di creature seviziate e abbandonate. Don Vito ha lasciato questo, in eredità:  l'elenco dei loro nomi,  di come sono arrivati al suo orfanotrofio, quei 600 bambini che lui, e lui con gli altri, ha tolto all'orrore delle stragi. Ma l'eredità più geande, forse, è quella dei suoi "figli", quei 600 bambini che lui ha accolto in pieno spirito missionario. La storia- "L'inferno non ha più diavoli. Sono tutti in libera uscita in Rwanda",  aveva  dichiarato un altro missionario. Di questo inferno don Vito ci dice gli orrori, ma ci dice anche la bontà, la carità di tanti in pagine colme di fede vissuta in totale abbandono alla Provvidenza e di un'umanità forte e operante. Noi di Libero abbiamo sentito una ragazza universitaria che, in corso di tesi, ha incontrato in Rwanda padre Misuraca. Ecco il suo ricordo: "In quei 100 giorni di follia omicida in Rwanda regnava l'anarchia totale e le strade, piene di continui posti di blocco dove venivano fermati e uccisi tutti i tutsi e chi li aiutava impedirono a padre vito misuraca  di far evacuare l'orfanotrofio di Nyanza. Rimasero isolati per 1 mese e mezzo lui  padre Eros e circa 500 bambini . dove per le strade si scatenava l'inferno, l'allora console italiano Pierantonio Costa scriveva parlando di quello di Nyanza “ mi sembrava un miracolo di concordia, una minuscola isola di pace dentro l'infernale bolgia della violenza e della guerra”. Sarà proprio grazie alla collaborazione con  Costa che i bambini e i 2 padri verranno infine tratti in salvo. “se qui ci fosse stato tuo fratello, avresti voluto che io me ne andassi???” cosi don Vito rispose ad un interahamwe hutu ( colpiamo inseme) (organizzazione paramilitare addestrata e o reclutata nelle campagne per ammazzare i tutsi) che gli chiese perché un uomo bianco e per ,o più italiano fosse rimasto coi bambini che sarebbero sicuramente stati uccisi. “ aveva gli occhi iniettati di sangue, pieni di odio, non avevo mai visto degli occhi cosi…” cosi me lo descriveva padre Vito Misuraca durante il nostro primo e unico incontro, quel pomeriggio del 2 aprile 2008, seduti nel salottino dell'orfanotrofio di Kigali.” Il soldato mi ha guardato, mi ha messo una mano sulla spalla  e mi ha detto “ grazie che sei rimasto” poi facendo cenno agli altri interahamwe ha detto “ andiamocene che qui non c'è nulla” . Nel frattempo i bambini erano stati stipati in silenzio nei corridoi.. “ sai mi hanno ammazzato 2 collaboratori durante il genocidio”. Il racconto prosegue: "Don Vito Misuraca in questo nostro fugace incontro si è mostrato subito una persona intelligente e molto acuta., una persona schietta, molto pratica. Mi ha parlato del Rwanda, del suo popolo con le sue usanze e le sue abitudini, ha chiseto di me, cosa studiavo, perché mi trovavo in Rwanda . infine arriva in salotto una bimba che avrà avuto 2 massimo 3 anni che mi sorride e si avvicina e si arrampica su Padre Vito. Padrte Vito la guarda, sorride e mi dice “ la vedi questa? Questa qui è l'ultima arrivata! Ma questi sono tutti figli miei e questa qui come faccio a non crescerla io, almeno fino ai 19 anni!” . Questo è ciò che realmente mi è rimasto impresso di quel 2 aprile, il racconto del genocidio che mi ha raccontato brevemente e che è reperibile nel libro scritto da lui “diario dall'inferno”, ma più di tutto questo sguardo paterno. Lo sguardo di un papà commosso per una nuova bimba arrivata e lo sguardo che ora dal Cielo continuerà ad avere per lei, tutti i suoi bimbi e tutte le persone amici italiani e rwandesi che gli vogliono bene".

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