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Gaza? No, il nemico è a Teheran: così l'Iran controlla la rete del terrore

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Federico Punzi
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La madre di tutti gli errori dell’Occidente, e in primis di Washington, è ostinarsi a non voler vedere che non esiste oggi una questione palestinese, se mai è esistita, ma una questione iraniana. Gruppi jihadisti come Hamas e Jihad Islamica non lottano per uno Stato palestinese, ma per cancellare Israele e per gli interessi di Teheran – tanto che, tutti concordano, la prima vittima del “7 ottobre” è la storica normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Il regime iraniano ha messo in piedi una fitta e articolata rete di milizie in tutta la regione: Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq, Yemen. Milizie armate e finanziate da Teheran che ovviamente rispondono agli ordini e agli interessi del loro sponsor, a scapito dei Paesi e delle popolazioni in cui operano.

Anziché ritenere l’Iran responsabile dell’attacco di Hamas - in cui sono stati uccisi ben 30 americani e rapiti una decina - l’amministrazione Biden ha fin dal primo giorno negato di avere prove del coinvolgimento di Teheran, affermazione ripetuta domenica da Biden, per scongiurare una escalation. Scordando ancora una volta che l’Iran non ha bisogno di intervenire direttamente per scatenare una escalation che costringa Israele ad una guerra su più fronti fino a minacciarne la stessa esistenza. Washington ha messo in guardia attori statuali e non dall’intervenire e inviato due gruppi navali per rendere credibile la sua deterrenza. Domenica il presidente Biden ha ripetuto il messaggio a Hezbollah e Iran: «Don’t». E affermato che Hamas «va eliminata».

Israele non può permettersi che Hamas sopravviva, non può limitarsi ad una punizione non risolutiva come in passato, come forse Usa e Ue preferirebbero. Di fronte al più grave ed efferato eccidio di ebrei dall’Olocausto deve ristabilire la deterrenza. Non solo nei confronti di Hamas, ma anche di Teheran e dei suoi proxies, e in modo che suoni come richiamo all’amministrazione Biden, impegnata nel riallineamento verso l’asse Iran-Qatar. Altrimenti avrebbe i giorni contati. Ma cosa farà l’Iran di fronte alla concreta prospettiva di una distruzione di Hamas? La missione iraniana all’Onu ha fatto sapere che «le forze armate iraniane non affronteranno Israele a condizione che Israele non osi attaccare l’Iran, i suoi interessi, i suoi cittadini». Ora, Hamas non sembra corrispondere ad alcuna di queste categorie. Hezbollah sembra rientrare nella seconda, mentre il Corpo delle guardie della rivoluzione (Irgc) rientra in tutte e tre. Quindi Israele non dovrebbe rischiare un intervento diretto di Teheran procedendo con la sua controffensiva su Hamas.

Ma sarebbe sbagliato concludere che Teheran sia pronta a sacrificare il suo proxy. Il ministro degli esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, che ha incontrato i leader di tutte le milizie della regione, ha avvertito che se i «crimini» a Gaza continuano, se Usa e Israele non cambiano politica, la risposta dell’«Asse della Resistenza» «cambierà la mappa delle terre occupate». E che tutte le milizie tengono «le dita sul grilletto». Quello iraniano è il solito gioco: tenersi al riparo da rappresaglie dirette attaccando attraverso i suoi proxies. Finora è un gioco riuscito, tranne quando Trump reagì all’attacco di una base Usa in Iraq uccidendo l’allora comandante della Forza Quds Qassem Soleimani. Da allora solo Israele ha premuto il grilletto. Due giorni fa l’attentato a Mohammad Akiki, alto ufficiale dell’intelligence dei Pasdaran: una risposta all’attacco del “7 ottobre”, ma anche un altro obiettivo sulla lunga lista di comandanti militari e scienziati legati al programma nucleare da eliminare.

Ma il regime iraniano scommette sul fatto che, come in passato, non pagherà alcun prezzo significativo per la sua guerra per procura. E questo rende l’escalation più probabile. Domenica sarebbe arrivato l’ordine a Hezbollah di intensificare l'escalation. A Teheran quindi sembrano ritenere improbabile una rappresaglia diretta Usa in caso di attacco di Hezbollah. L’unico modo per provare a fermare l’escalation è che il regime iraniano abbia ben chiaro che stavolta nascondersi dietro i suoi proxies non lo terrà al riparo da rappresaglie Usa e, anzi, pagherà un prezzo molto alto. Per esempio, vedersi riportare il suo programma nucleare indietro di decenni. In questo caso, l’obiettivo di diventare potenza nucleare sarebbe prioritario rispetto ad una escalation oggi. Banalmente, continuare a punire o anche eliminare i sicari non risolverà il problema, finché il mandante resterà sostanzialmente impunito. 

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