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Gaza, la "frustata" di Formigoni: costruire subito una democrazia per la Striscia

 Gaza

Roberto Formigoni
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La guerra a Gaza è tutt’altro che terminata, ma nessuno ha più dubbi sul suo esito. E dunque, nelle principali cancellerie e in Israele stesso, si comincia a ragionare sul dopo: quale futuro dare a Gaza? In Israele alcuni gruppi estremisti vorrebbero ristabilire il dominio del proprio paese, ma la posizione del governo è netta:”Non abbiamo intenzione di rioccupare la Striscia”.

Gli scenari su cui si ragiona sono almeno quattro, il 1º: l’Autorità palestinese riprende il controllo.

Il vecchio leader dell’ANP, Abu Mazen (88anni) lo ha sostenuto esplicitamente in un colloquio col segretario di Stato americano Anthony Blinken i giorni scorsi. Benchè l’ANP e lo stesso Mazen siano fortemente criticati a Gaza per i loro precedenti di corruzione, l’ipotesi non è malvista a Washington, e in Israele è sostenuta da alcuni uomini politici moderati come Benny Ganz, ex ministro della Difesa.

 

 

Ma uno dei leader palestinesi più autorevoli (e oggi in carcere in Israele), Moustafa Barghouti sostiene che occorre passare attraverso un processo elettorale, il che appare del tutto irrealistico prima di un periodo di decantazione e rappacificazione. La 2ª ipotesi è il dispiegamento di una forza multinazionale che garantisca provvisoriamente l’ordine e la sicurezza nella Striscia.

FORZA MULTINAZIONALE - Va detto che dopo le disastrose esperienze dell’Iraq e dell’Afghanistan, difficilmente gli Stati Uniti si assumerebbero la responsabilità di guidare una tale forza, ma potrebbero farne parte insieme a truppe miste messe a disposizione da paesi arabi ed europei. Il loro compito, invero immane, sarebbe anche quello di ricostruire in tempi non troppo lunghi, abitazioni, scuole, fabbriche e servizi. La 3ª ipotesi, avanzata dall’ex negoziatore americano Dennis Ross, ipotizza alla guida della forza multinazionale l’Egitto, che già aveva amministrato la Striscia dal 1948 al 1967, coadiuvata da altri paesi arabi, e con un possibile coinvolgimento dell’Autorità palestinese.

 

 

Infine una 4ª ipotesi (ma, ripeto, altre potrebbero affacciarsi), riprende il modello applicato in Libano dopo la guerra del 2006, con la presenza di una forza interinale ONU. All’ONU non se ne è ancora parlato ufficialmente, anche perchè questa ipotesi richiederebbe il consenso dei quindici membri del Consiglio di sicurezza, e in questo momento i rapporti tra Israele e Nazioni Unite sono particolarmente burrascosi. E infine, chi potrebbe pagare la ricostruzione? Il modello tradizionale è un gruppo di donatori internazionali, con Qatar e Arabia Saudita che sarebbero certamente in primissima fila. 

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