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Israele, la mossa della Cina nel silenzio generale: scatta l'embargo

Matteo Legnani
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Settecento container contenenti merce italiana sono bloccati, ormai da giorni, a bordo di una nave di proprietà della società armatrice di Stato cinese Zhong Gu ormeggiata al largo del porto israeliano di Ashdod. In quel tratto di mare, che fronteggia una costa a poche decine di chilometri dal confine con la Striscia di Gaza, la situazione è relativamente tranquilla (ma a giorni è atteso l’arrivo di una ‘flotta’ di un migliaio di attivisti anti-Israele e filo-Hamas, che hanno lasciato ieri il porto di Antalya in Turchia con lo scopo preciso di piazzarsi nelle acque internazionali di fronte ad Ashdod per ostacolare l'arrivo e la partenza delle navi dallo scalo marittimo israeliano). Ciononostante, la portacontainer cinese si rifiuta di attraccare per scaricare merce destinata in Israele, citando ragioni di sicurezza legate alla guerra tra Israele e Hamas. La situazione ha portato a un contenzioso con la compagnia di navigazione italiana Kalypso, che ha affittato la portacontainer e che accusa i cinesi di rifiutare l’attracco per un boicottaggio nei confronti di Israele, “dal momento che – spiega la Kalypso - tutti gli altri operatori stanno regolarmente e in piena sicurezza lavorando su Ashdod”.

La compagnia di navigazione ha anche vanamente proposto ai cinesi di ormeggiare la nave e scaricare la merce destinata in Israele ad Haifa, che si trova sulla costa settentrionale di Israele, a dimostrazione che non di sicurezza, ma di ben altro, si stia trattando. Vittime di questo contenzioso sono le tante aziende italiane, quasi tutte del settore tessile, che stanno attendendo che la portacontainer arrivi in Italia e scarichi i settecento container con la loro merce.

Tra queste c’è anche Yamamay, nome ‘cult’ dell’abbigliamento intimo, il cui amministratore delegato Gianluigi Cimmino parla apertamente di “un boicottaggio cinese ai danni di Israele che sta gravemente danneggiando decine di aziende italiane. Nel nostro caso – prosegue – si tratta di una parte delle collezioni di abbigliamento per il Natale che rischia di non arrivare per tempo nei negozi, se quello che ormai è diventato un contenzioso economico tra armatore e compagnia di navigazione non verrà risolto in tempi rapidi”. Un danno quantificabile “in milioni” per la sola azienda con sede a Gallarate. Che, attraverso il suo amministratore delegato, auspica “un intervento del governo italiano nei confronti di quello cinese e della sua società armatrice, che stanno commettendo un abuso nel sequestrare, di fatto, una nave con merce italiana a bordo. Abuso che sta provocando ingenti danni a un settore chiave dell’economia italiana come quello tessile”. 

 

 

 

 

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