La guerra in Ucraina è un rompicapo che non ha una soluzione da 1226 giorni. La situazione è sempre la stessa: l’Ucraina non può vincere, la Russia non può perdere. Anche la strategia americana sul campo non è cambiata: ti armo abbastanza per non farti perdere, ma non al punto da farti vincere. Lo stallo di questa guerra è prima di tutto una scelta dell’amministrazione Biden, Trump l’ha ereditata e sta cercando una via d’uscita che si scontra con Kiev e Mosca perché né Zelensky né Putin hanno mai definito cosa sono per loro la vittoria e la sconfitta. Il consumo di materiali e uomini è altissimo, le tattiche di combattimento stanno variando (i russi acquisteranno dalla Cina 200 mila motocicli da schierare sul terreno per disperdere la fanteria e farla avanzare velocemente in piccole unità più difficili da colpire), nessuno vede la fine delle operazioni.
Sul piano politico, l’Europa va a rimorchio degli Stati Uniti, a Bruxelles non c’è un’idea chiara su come proseguire o far cessare la guerra, tutti aspettano le mosse di Trump che, a sua volta, fa i conti con i piani del Pentagono e le tensioni politiche al Congresso dove l’entusiasmo per il sostegno a Kiev è poco sopra lo zero. Trump ne deve tenere conto, il racconto del monolite americano dove il Presidente non incontra ostacoli è propaganda delle sinistre utopiste, la realtà è che la sua legge di Bilancio è passata al Senato con il voto decisivo del vicepresidente JD Vance e ora alla Camera ci sono un paio di voti repubblicani che ballano. Trump gioca una partita interna che si riflette sulla politica estera: non può contare sul supporto pieno degli alleati europei in Ucraina - su quel quadrante non c’è Israele e un leader di guerra come Netanyahu - dunque prova a convincere i russi e gli ucraini con una strategia di «stop and go».
L’ultima carta è arrivata ieri: gli Stati Uniti hanno sospeso le consegne di armi essenziali per la difesa dell’Ucraina, tra queste c’è il sistema di difesa Patriot prodotto dalla Lockheed Martin in circa 550 unità all’anno. Sono numeri insufficienti rispetto alla domanda, gli Stati che utilizzano questo scudo anti -missile sono 18 e i limiti produttivi non riguardano solo questo sistema, anche i Paesi europei hanno problemi a fornire missili a Kiev. Ieri Zelensky ha detto che l’Ucraina è pronta ad acquistare l’arsenale dagli Stati Uniti (dettaglio: non sono mai gratis, i costi della guerra comunque finiranno nella contabilità della pace, se e quando ci sarà, consiglio la lettura del libro “Le conseguenze economiche della pace” di John Maynard Keynes), mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha commentato: «Meno armi vengono inviate all’Ucraina, più vicina è la fine dell’operazione militare speciale». Parole che non sono affatto uno spiraglio, semmai certificano il problema che l’Ucraina potrebbe avere nel respingere gli assalti della Russia via cielo. Dov’è l’Europa? S’indigna sui giornali, cribbio, ma è solo una bella addormentata che rischia grosso.
L’esempio è la telefonata dell’altro ieri di Emmanuel Macron con Vladimir Putin. Due ore di colloquio, zero novità. Che non possono esserci perché il Presidente della Francia è colui che prima ha detto di voler inviare truppe in Ucraina poi, dopo aver parlato con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, è tornato sulla Terra e ha archiviato l’idea. Confusione totale e vanità. Essendo indecisi a tutto, la guerra continua, solo che prima o poi, senza una strategia euro-atlantica per portare Kiev e Mosca al tavolo, finiremo per essere coinvolti in un conflitto che l’opinione pubblica europea respinge.
Il quadro è più grande e complesso, i singoli pezzi formano una nuova mappa della contemporaneità. Mentre la Commissione Ue fa piani climatici, l’estate è bollente sul piano geopolitico, da qui a settembre il Grande Gioco subirà un’ulteriore accelerazione. Il bombardamento dell’Iran non è la fine, ma l’inizio di una nuova fase dove l’Ucraina è un pezzo del risiko.
Con il regime di Teheran ripiegato su se stesso, Stati Uniti e Israele stanno cercando di isolare l’ayatollah Khamenei, provocare un collasso interno e costruire un altro equilibrio in Medio Oriente. L’Iran non può più contare su Hezbollah e Hamas (non può rifornirli né teleguidarli come in passato) per destabilizzare l’area con il terrore, gli Houthi sono un problema ma non una minaccia esistenziale, mentre la Siria sembra vicina a un’intesa con Israele, le monarchie sunnite del gas e del petrolio stanno investendo centinaia di miliardi di dollari su un futuro dove Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar coordinano le loro attività nel Consiglio di Cooperazione del Golfo. La Casa Bianca scommette sulla stabilità dell’area per orientare le risorse militari e economiche sull’area del Pacifico dove la Cina agisce come prima potenza. Il viaggio di Netanyahu a Washington la prossima settimana è la tappa di questo processo, il primo obiettivo è quello di chiudere il capitolo della guerra a Gaza con la tregua, il rilascio degli ostaggi e il disarmo di Hamas.
Non è detto che tutte le pedine vadano a dama (Hamas è un drago moribondo che cerca il colpo di coda, il regime iraniano è colpito al cuore e lotta perla sopravvivenza e ieri- pessimo segnale - ha sospeso la cooperazione con L’Agenzia internazionale dell'energia atomica) ma i pezzi sulla scacchiera si stanno muovendo.
E si torna così al problema, come si chiude la guerra in Ucraina? Nessuno lo sa, siamo al punto che potrebbe restare quella più aperta e dall’esito imprevedibile. È uno scenario dove c’è un solo soggetto fermo, inebetito, privo di una politica, gonfio di retorica e dunque pericoloso per se stesso, è l’Unione europea.