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Francia, paura degli attentati alle Olimpiadi? E' la sconfitta dell'Occidente liberale

Corrado Ocone
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L’episodio potrebbe sembrare “minore”, ed in un certo senso lo è, almeno nella prospettiva della “storia universale”, diciamo così. Ma come sempre accade è in certi dettagli apparentemente insignificanti che può nascondersi una verità più generale. Il presidente francese Emmanuel Macron ha ammesso che probabilmente sarà ripensata quella cerimonia di apertura delle prossime Olimpiadi che, in linea con il tradizionale desiderio di grandeur che è proprio della Francia, avrebbe dovuto essere la più grande e spettacolare di sempre.

L’evento, previsto per il prossimo 26 luglio, si sarebbe dovuto svolgere infatti lungo le rive della Senna, ove gli atleti avrebbero sfilato in barconi sotto gli occhi di più di mezzo milione di spettatori. Se ciò, come sembra, non avverrà, è perché i rischi di attentati terroristici, o semplicemente di baruffe e sommosse non controllabili dalla gendarmeria, sono troppo alti. D’altronde, come non tener conto del fatto che oggi la Francia, che è la nazione più colpita dal terrorismo islamista, è in preda a una vera e propria “guerra civile” fra autoctoni e immigrati, anche di seconda generazione? Come non considerare che quella promessa di universalità e laicità, e quindi di integrazione fra culture ed etnie diverse, che i valori repubblicani sembravano garantire, è miseramente fallita di fronte ad un’immigrazione non gestita e controllata?

 

 

 

GLI ANNI D’ORO TRASCORSI

L’elemento su cui vorrei fermare l’attenzione in questa sede è però un altro: il rischio che oggi fa retrocedere il governo francese solo fino a qualche decennio fa non sarebbe stato nemmeno preso in considerazione, né a Parigi né in una qualsiasi altra città occidentale. Proprio la garanzia di una sicurezza quasi assoluta, che significava libertà (ad esempio quella delle donne di girare per le città anche nelle ore buie), insieme al benessere economico, era infatti il vero fattore di attrazione della nostra parte di mondo. La quale, negli “anni d’oro”, pensava orgogliosamente che il suo destino sarebbe stato presto quello del mondo intero, che si sarebbe adeguato semplicemente per imitazione. È stato proprio questo errore di valutazione che ci ha portato fin qui, fino ai ripensamenti di Macron.

SICUREZZA DI REGIME

Certo, la sicurezza si può garantire in altro modo, ad esempio con uno Stato di polizia come fanno le autocrazie di mezzo mondo, quindi comprimendo la libertà dei cittadini. È forse un caso che oggi proprio gli stati dispotici, in particolare proprio quelli islamici, hanno la possibilità di organizzare senza problemi di questo tipo di grandi manifestazioni sportive, che si trasformano spesso in vere e proprie “parate di regime” come è stato nel caso degli ultimi mondiali di calcio in Quatar? Ma ovviamente è la sicurezza nella libertà quella a cui aneliamo.

Essa è un fatto di cultura prima che di forza. Ed esige la cura e l’attenzione che nasce dalla consapevolezza che la civiltà liberale, anzi la civiltà senz’altro, è un piccolo fiore sorto ad un certo punto in quell’arido campo che è stata tutto sommato la storia umana. Questa vigilanza è scomparsa perché la rigida morale delle nostre élite si è da ultimo trasformata in moralismo. Il nostro orgoglio si è convertito in un diffuso senso di colpa. Immemori del monito popperiano a tener fuori dal nostro recinto chi non è ancora pronto ad entrarvi, cioè i violenti che vorrebbero distruggere la “società aperta” con le armi messe da essa a loro disposizione, abbiamo coltivato un malinteso concetto di “inclusività” i cui effetti perversi non sarebbe stato difficile comprendere con largo anticipo.

 

 

 

COLONIZZAZIONE AL CONTRARIO

Abbiamo cominciato a vergognarci della nostra identità e della nostra storia, tanto che lo stesso colonialismo non è stato letto nella sua complessità storica ma fatto oggetto di scherno a prescindere. Col risultato che oggi il rischio di una colonizzazione (forse anche delle coscienze) c’è, ma a parti invertite. Il caso di Parigi dimostra che l’aria delle città non rende più liberi, come recitava un vecchio proverbio tedesco. E siamo giunti a questo punto quasi senza accorgercene. 

 

 

 

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