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Teheran e i suoi alleati hanno sbagliato i conti: ecco perché

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Giovanni Sallusti
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Poco prima di Natale l’ayatollah Khamenei aveva postato su X: «Non abbiate dubbi. Un giorno, il regime usurpatore sionista verrà sradicato dalla Terra». Ce lo appuntiamo, nel frattempo il «regime usurpatore sionista» (ovvero l’unica democrazia del Medio Oriente) sta «sradicando dalla Terra» uno ad uno i responsabili della mattanza nazislamica del 7 ottobre, sicari di fiducia del suddetto ayatollah.

Non solo: la situazione per l’asse sciita-iraniano (Hamas è sunnita, ma ha un patto finanziario-operativo con Teheran) è nettamente peggiorata. Mettiamo in fila i fatti, ché la geopolitica la misuri con quelli, non con gli auspici. Ieri è stata la volta di Mamdouh Lulu, membro di spicco della Jihad islamica che, secondo l’esercito di Tel Aviv, aveva «guidato numerosi attacchi terroristici da Gaza contro lo Stato di Israele». Polverizzato da un raid aereo nella Striscia. Pochi giorni prima, il colpo clamoroso: Saleh al-Arouri, numero 2 di Hamas, fondatore e a lungo comandante delle Brigate al Qassam, quindi delegato del gruppo presso gli Hezbollah libanesi. Eliminato infatti in un edificio alla periferia di Beirut. Ma dall’inizo dell’offensiva israeliana i gerarchi illustri caduti, spesso direttamente responsabili del pogrom d’inizio millennio, sono parecchi. Galleria parziale: Ahmed Randour, comandante di Hamas nel Nord della Striscia; Ayman Siam, capo della divisone lanciamissili che tormenta quotidiniamente i civili ebrei nel silenzio delle anime belle; Adel Masmah, comandante dell’unità d’élite “Nukhbe” responsabile della carneficina in tre kibbutz; Jamila al-Shanti, membro dell’ufficio politico a Gaza e vedova dell’ex leader Abdel Aziz al-Rantisi; Haitham Khuwajari, capo del battaglione Shati che si era distinto nelle efferatezze del 7 ottobre. Li raggiungeremo uno per uno, non esiste luogo sicuro per loro, aveva detto Netanyahu dopo quello che per lo Stato ebraico è stato l’analogo dell’11 settembre, il massacro/spartiacque. Sta accadendo, come accadde dopo Monaco 1972, come accade ogni volta che qualcuno tenta di dare corpo all’ossessione primaria dell’ayatollah Khamenei: cancellare l’“entità sionista” dalla mappa.

E qui il discorso si allarga. Del resto, Hamas era da subito una pedina sulla scacchiera degli esportatori dell’apocalisse islamica, i signori della jihad di Teheran. I quali nei giorni successivi al 7 ottobre hanno subito nascosto la mano, persuasi a rintanarsi nel bellicismo dei comunicati dalla vista delle due portaerei spedite in zona dagli americani. Ora non sono solo rintanati, sono colpiti a morte in casa dal terribile attentato di Kerman, rivendicato ieri dall’Isis. Il redivivo Stato islamico ha ovviamente incitato alla “guerra santa” contro “ebrei e crociati”, ma ha anche attaccato quelle fazioni palestinesi sunnite, come Hamas, che combattono «una guerra per procura per l’Iran». Siamo qui in presenza di un capolavoro all’incontrario degli ayatollah: riappiccando il fuoco alla polveriera mediorientale hanno ricreato le condizioni per lo scontro islamista fratricida. Obiettivo: il monopolio della jihad. Intanto, la posta si è alzata incommensurabilmente, scomoda persino scenari da guerra mondiale, scenari in cui il grande asse sciita che era il sogno del fu generale Soleimani non ha in mano nessun asso vincente.

 

 

Troppo consistente il divario tecnologico, finanziario, militare. Con Israele sul terreno e con l’America nelle proiezioni. Lo sa benissimo Hasan Nasrallah, numero uno di Hezbollah, che anche in questi giorni si è limitato a minacciare, ad assicurare che «il crimine di Israele in Libano l’uccisione di al-Arouri, ndr- non rimarrà impunito», a ripetere che se lo Stato ebraico «pensa di condurre una guerra contro il Libano, la nostra lotta sarà senza limiti e senza regole». Ovvero, in codice mediorientale: ad avvisare che non attaccherà per primo, il che da quelle parti equivale a non attaccare. Anche perché chi attacca può finire come quei barchini degli Houthi (i ribelli yemeniti eterodiretti dall’Iran), affondati nel Mar Rosso dagli elicotteri statunitensi. O come le milizie sciite irachene, responsabili di incursioni contro strutture militari Usa, che ieri si sono viste recapitare un bombardamento in risposta. La morale della storia, al momento, sembra suggerire che questa volta l’apprendista stregone abbia sbagliato i conti, che la piovra totalitaria con sede sociale a Teheran abbia innescato un domino che non è in grado di controllare. Sarebbe una gran notizia, specie per le donne e gli uomini, iraniani in primis, che si dibattono tra i tentacoli della piovra.

 

 

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