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Israele, Gerusalemme è stata attaccata per prima: ecco chi dimentica il 7 ottobre

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Daniele Capezzone
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Prevalere nella battaglia delle parole, imporre i concetti su cui discutere, fissare anche per gli altri – non solo per se stessi – i binari su cui il dibattito dovrà svolgersi, è già la premessa di una vittoria più complessiva e profonda. O, se vogliamo guardare la stessa realtà dalla prospettiva inversa, farsi dettare dal nemico le parole e i parametri della discussione è una resa concettuale che a volte si accompagna a quella morale e precede di poco quella fisica. In questo senso, c’è da rimanere sgomenti nel constatare come i media occidentali – pressoché unanimi, con eccezioni più rare di un quadrifoglio – abbiano accettato da giorni il racconto iraniano secondo cui Teheran si prepara a un’imminente rappresaglia in risposta al raid israeliano dei giorni scorsi nei confronti dell’ambasciata iraniana a Damasco.

Messe così le cose, infatti, risulta già pienamente accettata la narrazione degli ayatollah. Chi è l’aggressore secondo questo racconto? Gerusalemme. E dunque l’aggredito – cioè Teheran – si accinge a rispondere. Ecco, tutto questo è clamorosamente falso, distorce la realtà delle cose, e al tempo stesso mostra la nostra clamorosa vulnerabilità intellettuale ed emotiva. Ma cosa ci è successo? Quale odio di noi stessi, quale abnorme senso di colpa ci induce a coprirci gli occhi, a non voler vedere, a subìre una così palese alterazione della sequenza logica e cronologica degli eventi di questi mesi, anzi di questi anni?

 

 

 

L’ATTACCO

È stata Israele a subire il 7 ottobre un attacco di violenza inenarrabile, l’evento più tragico contro esseri umani di religione ebraica dai tempi dell’Olocausto. E quell’attacco è stato sferrato da Hamas, cioè un proxy, anzi una protesi di Teheran, con il regime degli ayatollah che usa quell’organizzazione (come peraltro verso Hezbollah) ai fini dell’avvelenamento dell’intera regione. È sempre Teheran che cerca da anni la strada del nucleare con l’esplicito, dichiaratissimo obiettivo di cancellare Israele dalla faccia della terra. Ed è ancora Teheran - attraverso la guerriglia e la pirateria Houthi – ad avvelenare la situazione in Mar Rosso, con effetti devastanti sulla navigazione commerciale e con pericoli non visibili ma immensi per la sicurezza dei cavi sottomarini. È Teheran la testa del serpente, non giriamoci intorno.

L’aveva capito Donald Trump, che costruì gli Accordi di Abramo isolando l’Iran e favorendo il dialogo tra Arabia Saudita e Israele. E invece non l’avevano capito – anni prima – Barack Obama e Joe Biden (ai tempi presidente e vicepresidente Usa), che riempirono di risorse e di legittimazione politica il regime di Teheran. Tornato alla Casa Bianca da Presidente, Biden ha ripetuto pari pari lo stesso errore: nella fretta di smontare ciò che Trump aveva edificato, ha creato il gelo con Riad e ha ripreso il dialogo con Teheran, con gli sconfortanti risultati che purtroppo constatiamo. Anche se nelle ultime settantadue ore va dato atto al presidente americano di aver pronunciato parole chiare a difesa di Israele, il guaio l’amministrazione democratica l’aveva già combinato prima: contribuendo nei mesi scorsi all’isolamento internazionale di Gerusalemme, e dando da tempo la sensazione che la preoccupazione principale di Washington non fosse (non sia) l’eliminazione di Hamas e la punizione esemplare di chi la sostiene, ma – paradossalmente – l’urgenza politica di fermare Israele.

 

 

 

ANTI-OCCIDENTALE

È l’ora di chiamare le cose con il loro nome: l’Iran è uno dei paesi capofila dell’assalto anti-occidentale in corso. Questo non vuol dire - ovviamente - cercare accelerazioni belliche contro gli ayatollah. Ma vuol dire usare noi la deterrenza, stare all’offensiva, mostrare anche visibilmente una determinazione e un potenziale militare superiori. E invece – anche in questo caso – sta avvenendo il contrario: è Teheran che, perfino alimentando l’attesa della sua azione anti-Israele, ci mette tutti sulla difensiva, mostra e si gode una assoluta quanto insperata centralità geopolitica.

Un americano che se ne intende (non a caso, detestato dai progressisti di tutto il mondo), l’ex national security adviser John Bolton, ha scritto l’altro giorno sul Telegraph di Londra parole lapidarie (nel senso della lapide...) sull’eredità politica che Biden si prepara a lasciare: «La storia registrerà gli sforzi ossessivi dell’amministrazione Biden di negoziare con gli ayatollah come una delle maggiori ferite autoinflitte nelle vicende politico-militari». Che ci sta dicendo il falco Bolton? Che Israele – diversamente dal resto di un Occidente addormentato – non ha rimosso l’idea che il nemico esista e che possa portare minacce letteralmente esistenziali. Se una simile dimenticanza avesse colpito Londra e Washington ai tempi di Hitler, la storia del Ventesimo Secolo sarebbe stata tragicamente ribaltata. Oggi – attraverso una intelligente e robusta deterrenza – occorre evitare di trasformare il Ventunesimo Secolo nel momento della grande rivincita delle dittature e delle autocrazie.

 

 

 

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