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Uzi Rabi, lo storico di Tel Aviv: "Israele un pretesto, l'Iran vuole battere re e rais arabi"

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Maurizio Stefanini
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Principale ricercatore e responsabile del Programma di cooperazione regionale presso il Centro Moshe Dayan per gli studi sul Medio Oriente e l’Africa e principale ricercatore presso il Centro per gli studi sull’Iran all’Università di Tel Aviv, già capo del Dipartimento di Storia del Medio Oriente e dell'Africa pure dell’Università di Tel Aviv, Uzi Rabi ha tenuto a Roma appunto un incontro appunto sul tema del ruolo iraniano nella guerra in corso a Gaza, e dei rischi che comporta.

«Gaza è un problema, ma allo stesso tempo il sintomo di un problema più ampio di cui sono pure Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen o Hashd al-Shaabi in Iraq. Tutti questi nomi che corrispondono sostanzialmente allo stesso fenomeno di uno Stato arabo fallito. Ma l’Iran non è uno Stato arabo, e nemmeno faceva parte dell’Impero Ottomano, come questi altri Paesi. Tra persiani e arabi c’è una storica e enorme animosità, per cui i persiani si considerano superiori. Ma in Stati arabi come Siria, Iraq, Libano o Yemen che sono collassati per effetto di guerra civili tra gruppi etnici e religiosi contrapposti si è creato un caos in cui il giocatore dominante è l’Iran, tramite una procura che si basa innanzitutto sugli sciiti locali, ma a volte portano anche sciiti dal Pakistan e dall’Afghanistan. L’Occidente ha cercato di parlare e scendere a compromessi con l’Iran, dove fino al 1979 c’era una monarchia molto amichevole sia con gli Stati Uniti che con Israele. Ma dopo è venuto un regime per il quale invece Stati Uniti e Israele sono il Grande e il Piccolo Satana.

In questo momento la mappa del Medio Oriente mostra una specie di corridoio che si estende da Teheran al Mediterraneo attraverso Iraq, Siria e Libano. Il grande architetto ne fu Hajj Qasem Soleimani, che fu ucciso dagli americani quattro anni fa, ma aveva la visione di tutto ciò. Ha visto la debolezza degli Stati arabi, e ha pensato che fosse giunto il momento per l’Iran di trarre vantaggio da ciò, e diventare la forza dominante della Regione. Israele è preso come obiettivo perché serve a ottenere questo risultato, ma nei fatti l’Iran è pragmatico. Non è l’Isis o al-Qaida in cui è l’ideologia a guidare l’azione. Qui invece l’ideologia è al servizio di una azione, da parte di un giocatore che può essere molto spregiudicato, ma al tempo stesso anche prudente, e comunque organizzato».

 

 

 

Dunque, Israele per il regime di Teheran non è tanto un nemico strategico, ma un pretesto tattico per infilarsi in un mondo sunnita che ha tradizionalmente per gli sciiti una forte ostilità...
«Gaza non è che un punto di partenza. Il Medio Oriente si sta polarizzando in due campi principali: quello dell’Iran e soci, e quello degli Stati arabi che hanno paura dell'Iran, soprattutto se l'Iran dovesse diventare nucleare. Vorrebbero che gli Stati Uniti li appoggiassero, ma hanno dubbi su quello che gli Stati Uniti faranno, specie dopo che non sono intervenuti al momento dell’attacco dei campi petroliferi sauditi da parte di Houthi e iraniani. Dunque guardano anche alla Russia, e soprattutto alla Cina. Ed è stata infatti la Cina a mediare un accordo tra Arabia Saudita e Iran. Però molti di questi Stati hanno firmato accordi di normalizzazione con Israele quattro anni fa: Marocco, Bahrein, Emirati Arabi Uniti. Per loro, Israele non è un problema. Quando si crea un certo tipo di atmosfera, anche loro devono dire di stare al fianco dei palestinesi, ma la verità è che tali Stati vorrebbero costruire una sorta di alleanza delle forze anti-iraniane sostenute dagli Stati Uniti: compreso Israele, anche se non pubblicamente. Adesso Biden chiede infatti a Israele di fermare l’offensiva, apposta per poter arrivare a un accordo di normalizzazione con l'Arabia Saudita. Ma per Israele è difficile, per l’amaro ricordo delle atrocità del 7 ottobre».

C’è anche un ruolo del Qatar...
«È un altro esempio di uno Stato molto astuto. È il Paese più ricco del mondo, ma è minuscolo. Per garantirsi sicurezza non poteva costruire un forte esercito, soprattutto perché sono circondato dall'Arabia Saudita, dall'Iran, dall'Iraq di Saddam Hussein e della Marina Usa. Ma quando gli Stati Uniti stavano evacuando l'Afghanistan, e c’era bisogno di qualcuno che parlasse effettivamente con i talebani, chi lo ha fatto? Il Qatar. Il Qatar ha costruito il canale Al-Jazeera, che è diventato un'arma efficacissima per diventare influente. Gli arabi di tutto il mondo guardano Al-Jazeera. Gli stessi arabi israeliani quando si tratta di questioni economiche e culturali seguono la Tv israeliana, ma sulla geopolitica seguono Al-Jazeera. Vediamo come il Qatar, così piccolo, è riuscito a farsi dare i Mondiali di Calcio. Naturalmente, anche su Gaza hanno cercato di dimostrarsi come i mediatori più capaci. Sono però rimasti frustrati per il fatto che la dirigenza militare di Hamas a Gaza fa di testa sua, piuttosto che dare retta all’ala politica di stanza proprio in Qatar.

 

 

 

L’Iran ora è stato ammesso nei Brics, con Cina e Russia.
«Ci sono i tre punti caldi di Taiwan, Ucraina e Israele. Il tutto ci porta in un Grande Gioco, per cui ad esempio la Russia capitalizza ciò che accade in Medio Oriente, perché distoglie l'attenzione dall'Ucraina. Ma la Russia è anche insediata saldamente nei due porti siriani di Latakia e Tartus, e aiuta l’Iran a sostenere Assad. E l’Iran sta fornendo droni alla Russia per migliorare le sue prestazioni in Ucraina. La Cina è un attore che gioca in modo molto diverso, ma che sta al fianco dell’Iran, e negli ultimi dieci anni ha sfruttato la pallida debolezza della performance americana nei confronti del Medio Oriente».

 

 

 

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