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Palestina, il riconoscimento? Fuga in avanti ipocrita che crea tensioni, non pace

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Marco Patricelli
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Se ci fosse un principe di Metternich nel XXI secolo – e Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di statisti internazionali – avrebbe serie difficoltà ad applicare alla Palestina persino la definizione che diede dell’Italia.

La Palestina, infatti, non è neppure un’«espressione geografica», poiché la sua dimensione geografica è indefinita almeno quanto le premesse della sua esistenza e di una soluzione per il raffreddamento e la normalizzazione dell’incancrenita Questione mediorientale. La fuga in avanti di Spagna, Norvegia e Irlanda che il 28 maggio riconosceranno lo Stato di Palestina è un salto nel vuoto: il rullo di tamburi e gli squilli di tromba dell’annuncio trionfale a tre voci rischiano di innescare ben altri tamburi e ben altri squilli sinistri. Più che una soluzione, un proclama a metà tra l’utopia e l’ottimismo. Ma non quello della ragione.

A quale Palestina si riferisca infatti l’inedito attacco europeo a tre punte con Jonas Gahr Støre, Pedro Sanchez e Simon Harris non è ben chiaro probabilmente neppure a loro. Harris si è rifatto alla storia del suo Paese, la verde Irlanda che nel gennaio 1919 avviò lo strappo doloroso dalla corona inglese chiedendo il riconoscimento del suo diritto all’autodeterminazione, sorvolando sul fatto che in questo caso i confini erano già disegnati dalla storia e dalla Natura. Nell’isola, comunque, rimase una fetta sotto controllo inglese e una ferita sanguinolenta mai del tutto rimarginata.

SU QUALI CARDINI?
I cardini di ogni discorso, come sa qualsiasi studente di diritto costituzionale sono sempre gli stessi: un popolo, un territorio, un ordinamento giuridico. Nel caso della Palestina c’è il popolo, c’è un pseudo territorio, ma c’è pure la pervicace volontà di distruggere “statutariamente” un altro popolo, quello israeliano, che ha un territorio internazionalmente riconosciuto e un ordinamento, persino democratico, cosa più unica che rara a quelle latitudini. In Israele a scuola non si insegna a cancellare dalla faccia della terra i palestinesi, mentre nei territori palestinesi si inneggia alle stragi di israeliani non solo del 7 ottobre e la Palestina è un dogma «dal fiume al mare», ovvero dal Giordano al Mediterraneo.

Il problema non è il riconoscimento in sé, che è un proclama d’intenti già fatto da 142 Stati, ovvero il 70% dei membri Onu (spalmati per lo più tra Africa, Asia e America Latina), dalla Svezia e adesso dalla Norvegia extra Ue, oltre che da Malta, Cipro, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria, Romania quando però non facevano parte dell’Unione; il problema è nei tempi oltre che nei modi a dir poco disinvolti. Da un lato si sbandierano motivi di pace e stabilità, dall’altro si rischia invece di rinfocolare vecchie e nuove tensioni.

L’ITALIA NON CI STA
La Francia ha detto senza giri di parole che non è il momento giusto, e il ministro degli Esteri Stéphane Séjourné ha sottolineato che non ci sono ancora le condizioni. Il collega italiano Antonio Tajani è stato ancora più tranchant: «L’Italia riconoscerà la Palestina quando questa riconoscerà Israele. Poi bisogna capire cosa sia lo Stato palestinese perché non possiamo riconoscere uno Stato a guida di Hamas». Altro che «giorno storico e importante» dal punto di vista irlandese, o «non c’è pace senza riconoscimento» da quello norvegese, o dallo schieramento armi e bagagli di Sanchez dalla parte palestinese con lo scontato bilanciamento preventivo-compensativo «non siamo contro il popolo ebraico».

Tutto troppo semplice e troppo facile per essere anche possibile.
E tutto a poche ore dal fulmine scagliato dalla Corte penale internazionale dell’Aja che ha emesso richiesta di mandati di arresto bipartisan: Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant e tre capi di Hamas.
«Aspettiamo i risultati dell’indagine ordinata dal procuratore Karim Ahmad Khan», frena Emma Bonino. Nel calderone giuridico ci sono finiti crimini di guerra d’ambo le parti, poi si vedrà se, chi, quando e come.

Certo, i tempi sono cambiati, ma sarebbe stato per lo meno sconcertante se a Norimberga alla sbarra, oltre ai criminali nazisti che scatenarono la seconda guerra mondiale e la Shoah, fossero finiti sir Arthur Harris per aver bombardato a tappeto la Germania pur di sconfiggerla, Winston Churchill perché per mantenere il segreto su Enigma sacrificò città e convogli, il presidente americano Harry Truman per aver deciso di polverizzare Hiroshima e Nagasaki e il colonnello Paul Tibbets pilota del B-29 “Enola Gay” per aver sganciato la prima atomica sul Giappone.

PREMIO AI TERRORISTI
Il riconoscimento accelerato della Palestina è stato ovviamente commentato acremente in Israele dal ministro degli Esteri Israel Katz che ha richiamato gli ambasciatori da Norvegia, Irlanda e Spagna per consultazioni urgenti, e parimenti ha convocato i rappresentanti diplomatici dei tre Paesi. Dalla prospettiva israeliana l’azione di Irlanda e Norvegia schiude le porte a una sorta di premialità al terrorismo e pone un ulteriore ostacolo alla liberazione degli ostaggi e al cessate il fuoco a Gaza.

Quanto alla Spagna, il caso della Catalogna potrebbe rivolgersi contro Madrid. La segretaria del Pd, Elly Schlein invece plaude entusiasta all’iniziativa di «Spagna, Norvegia e Irlanda, che riconosceranno lo Stato di Palestina. Anche noi chiediamo il riconoscimento europeo dello Stato di Palestina», ovviamente «per aiutare il processo di pace». Altro che quel dilettante di Metternich.

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