Usa, Trump taglia le tasse e Moody's lo sgambetta

Anche la terza grande agenzia di rating toglie la tripla A agli Usa Critiche pure all’era Biden (e invece sostegno a Powell, il boss Fed)
di Dario Mazzocchidomenica 18 maggio 2025
Usa, Trump taglia le tasse e Moody's lo sgambetta
3' di lettura

Da una parte la Casa Bianca al lavoro per tagliare le tasse, dall’altra Moody’s che taglia il rating del debito pubblico americano. La conferma è arrivata nella notte italiana tra venerdì e sabato ed è senza dubbio un passaggio importante perché era l’ultima agenzia specializzata nella valutazione del rischio di credito ad attribuire una valutazione di tripla A: due anni fa era arrivato il declassamento di Fitch, mentre già nel 2011 Standard & Poor’s era scesa ad AA+. A spingere Moody’s al ribasso sulla solidità dei conti statunitensi – pur con una previsione stabile e non negativa - è il rischio di un aumento accelerato del debito pubblico con un conseguente rialzo dei tassi di interesse nel lungo periodo.

Un aumento, quello del debito, «durato oltre un decennio», ha sottolineato l’agenzia nel suo report, distribuendo così la responsabilità anche all’amministrazione democratica di Joe Biden, ma non è mancata una critica esplicita alle iniziative economiche di Donald Trump: i piani del presidente americano lasciano presagire un peggioramento. «La performance fiscale degli Stati Uniti è destinata a deteriorarsi, sia rispetto al passato del Paese stesso, sia a confronto con altri stati che hanno un rating elevato», hanno messo nero su bianco gli analisti.

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Sarà un caso, ma proprio in questi giorni a Washington fervono e accelerano i lavori per portare definire i contorni del piano repubblicano che prevede la proroga dei tagli fiscali in scadenza e l’introduzione di nuovi, con annessa riduzione delle spese per Medicaid (il programma federale e statale di aiuti per i costi medici destinato ai cittadini con redditi bassi) e per l’assistenza alimentare, mentre aumenteranno i fondi destinati al rafforzamento dei controlli lungo le frontiere e alla difesa nazionale. Le stime indicano che con queste misure il disavanzo di bilancio potrebbe crescere di circa 3.000 miliardi di dollari nel prossimo decennio, soprattutto per il prolungamento dei tagli alle imposte che erano destinati a scadere a fine anno.

Tutto come da programma elettorale trumpiano, meno pressione fiscale e più spesa per la sicurezza interna, e le intenzioni non sembrano destinate a cambiare dopo il downgrade. «L’amministrazione Trump e i Repubblicani sono concentrati nel sistemare il disastro lasciato dall’ex presidente Biden», ha riferito Kush Desai, uno dei portavoce della Casa Bianca. «Se Moody’s avesse davvero credibilità, non sarebbe rimasta in silenzio mentre si consumava il disastro fiscale degli ultimi quattro anni». Le tensioni tra le due parti sono riassunte anche dall’endorsement implicito dell’agenzia di rating nei confronti di Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve duramente criticato da Trump perché esitante nel ridurre i tassi d’interesse: «Anche se negli ultimi mesi si è registrato un certo grado di incertezza politica, ci aspettiamo che gli Stati Uniti continueranno la loro lunga tradizione di politica monetaria molto efficace, guidata da una Federal Reserve indipendente».

La vera battaglia per la manovra trumpiana si combatte però alla Camera dei deputati dove la maggioranza del Partito repubblicano deve fare i conti con l’ala dei falchi del rigore fiscale: sempre venerdì hanno bloccato il passaggio del disegno di legge per disaccordi su alcuni punti chiave come Medicaid, incentivi fiscali per l’energia pulita e disavanzi di bilancio. In commissione di Bilancio sono arrivati i voti sufficienti per far proseguire l’iter legislativo, anche se il passaggio alla Camera è comunque atteso perla settimana che si apre domani. Tra i dissidenti repubblicani ci sono i deputati Andrew Clyde e Lloyd Smucker, rispettivamente della Georgia e della Pennsylvania, due degli stati in bilico che alle Presidenziali hanno assicurato a Trump la larga vittoria sulla rivale democratica Kamala Harris.

Scaramucce partitiche che da sempre contraddistinguono i dibattiti su tasse e spesa pubblica. Molto più interessante l’editoriale pubblicato ieri sul Financial Times a firma di Michael Strain, direttore degli studi di economia politica dell’American Enterprise Institute, think tank di ispirazione liberista e non propriamente in linea con l’approccio trumpiano, specie in materia di dazi. Strain ha evidenziato la volontà presidenziale di un ridimensionamento della guerra commerciale: «Trump ha mostrato una certa disponibilità a cambiare rotta quando i mercati esercitano una pressione sufficiente». Un pragmatismo, è la tesi di Strain, che allontana il rischio di una recessione paventato a più riprese.

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