Dazi, Trump cerca Xi Jinping "ma è un osso duro"

di Carlo Nicolatogiovedì 5 giugno 2025
Dazi, Trump cerca Xi Jinping "ma è un osso duro"
3' di lettura

Nel giorno in cui entrano in vigore i dazi del 50% su acciaio e alluminio il presidente Trump pubblica su Truth un post che rivela la sua disponibilità ad arrivare a un accordo con la sua controparte cinese. «Mi piace il presidente XI della Cina, mi è sempre piaciuto e mi piacerà sempre, ma è molto duro ed è estremamente difficile fare un affare con lui!!!», ha scritto il tycoon che secondo i ben informati sarebbe «ossessionato dall’idea» di poter risolvere personalmente, a quattrocchi con Xi, le profonde divisioni tra le due maggiori economie mondiali.

Una chiamata insomma, che potrebbe arrivare in settimana ma che potrebbe non essere per nulla risolutiva dal momento che il presidente cinese ha alzato a sua volta l’asticella della disputa. Si tratta in sostanza della «grave violazione», così l’ha definita Trump, dell’accordo raggiunto durante i colloqui di Ginevra del mese scorso quando entrambi i Paesi hanno abbassato le tariffe sui beni importati l'uno dall'altro ma Pechino non ha rimosso le barriere non tariffarie. A tali accuse la Cina ha risposto sostenendo che anche gli Usa hanno violato l’accordo, facendo riferimento in particolare al blocco delle vendite di software per la progettazione di chip per computer alle aziende cinesi, all’avvertimento contro l’utilizzo di chip realizzati da Huawei e alla cancellazione dei visti per gli studenti cinesi.

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Il risultato immediato di questa disputa è che, come rivela il Wall Street Journal, diverse case automobilistiche americane pensano addirittura di trasferire parte della produzione in Cina, l’esatto contrario di quanto il presidente americano avrebbe voluto introducendo le tariffe. L’extrema ratio è dovuta proprio alle barriere non tariffarie imposte da Pechino che costringono le aziende che esportano i magneti realizzati in terre rare, tra cui disprosio e terbio indispensabili per le auto elettriche, a richiedere la previa autorizzazione del governo. Dal momento che la Cina controlla circa il 90% della fornitura mondiale di questi elementi, la produzione di auto a batteria in America sarebbe prossima al blocco nel giro di poche settimane. Da qui si capisce la fretta di Trump di parlare direttamente con Xi e anche il fatto stesso che quest’ultimo si neghi. Se nulla si sblocca, sostiene il Wsj, di fronte alle case automobilistiche si prospettano sostanzialmente due possibilità: il trasferimento in Cina della produzione di alcuni componenti o il ritorno a tecnologie più obsolete, ovvero la rimozione di alcune funzionalità. Le case automobilistiche stanno anche pensando ad alternative in Europa e Asia ma si tratta di fonti insufficienti a soddisfare la domanda dell’industria automobilistica. Lo spostamento della produzione potrebbe funzionare dal momento che le restrizioni cinesi riguardano solo i magneti e non i componenti finiti, ma sarebbe una soluzione dispendiosa, intaccata dagli stessi dazi di Trump, che provocherebbe un’ulteriore emorragia di posti di lavoro negli Usa.

Una deriva che il presidente americano vorrebbe evitare visto che proprio ieri sono usciti i dati dell’occupazione del settore privato nazionale che registrano a maggio un rallentamento sostanzioso. Secondo il rapporto mensile redatto da Automatic Data Processing (Adp), l’agenzia che si occupa di preparare le buste paga, il mese scorso sono stati creati 37.000 posti di lavoro rispetto a quello precedente, il dato peggiore dal marzo 2023, contro i 110mila posti previsti. Per Trump è stata l’ennesima occasione per attaccare il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, colpevole di non aver abbassato i tassi. «Deve abbassarli, ora!», ha scritto il presidente su Truth. «È incredibile!!!», ha aggiunto, «l’Europa ha abbassato i tassi nove volte!».

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Trump dovrà vedersela anche con il conto del Big beautiful bill, la sua legge fiscale, che secondo i conti del Congressional Budget Office taglierà le imposte di 3.750 miliardi di dollari, ma farà crescere il deficit di 2.400 miliardi di dollari, meno di quanto previsto precedentemente. Una situazione che rende indispensabile per gli Usa arrivare a un accordo non solo con la Cina, ma anche con l’Europa. Su questo fronte, ha fatto sapere ieri il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, le prospettive sono però positive. «Ciò che mi rende ottimista», ha detto, «è che vedo i progressi. So da dove siamo partiti, conosco le posizioni iniziali e vedo come stiamo avanzando. Iniziamo a vedere anche un possibile punto di atterraggio».

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