Nella primavera del 1940 Winston Churchill affrontò un drammatico vertice del suo governo mentre le forze inglesi erano in ritirata da Dunkirk e la Francia stava per cadere sotto le armi dei tedeschi. Il 28 maggio, il primo ministro riunì i 25 membri dell’esecutivo, il suo piano era quello di disinnescare le manovre di Lord Halifax, il ministro degli Esteri, che puntava a negoziare la pace con Adolf Hitler grazie alla mediazione di Benito Mussolini assicurata dall’ambasciatore italiano Giuseppe Bastianini.
Nelle riunioni precedenti dell’esecutivo Halifax aveva tentato di convincere Churchill a impegnarsi - con una dichiarazione ufficiale - per aprire i negoziati con la Germania, ma il primo ministro inglese vinse l’appuntamento con la storia con un discorso memorabile che molti in parte conoscono per la superba interpretazione di Gary Oldman nel film «L’ora più buia».
Ieri come oggi, la guerra presenta il conto agli uomini e alle donne sorretti da forti principi, rivela i caratteri deboli e le loro ambigue manovre, racconta le virtù e i vizi di un’epoca, la nostra. Quando il governo di Israele decide di occupare tutta Gaza, «finire il lavoro» contro Hamas, presenta di fronte al mondo l’urgenza di eliminare la minaccia esistenziale che il popolo degli ebrei conosce più di chiunque altro sulla terra.
L’intensa discussione all’interno dell’esecutivo israeliano dimostra, ancora una volta, la forza della democrazia, la stessa opinione contraria del capo dell’esercito è prova di solidità delle istituzioni, la politica è una dura lezione quotidiana di sopravvivenza della libertà. Israele non è Hamas, il suo esercito è il più ammirato e studiato del mondo, anche da coloro che in queste ore si muovono come ombre.
La guerra di Israele su 7 fronti (Gaza, Libano, Cisgiordania, Siria, Yemen, Iran e Iraq) va avanti da 673 giorni: abbiamo visto l’orrore della strage degli ebrei del 7 ottobre 2023, la formidabile reazione con la campagna contro Hamas e l’eliminazione della mente diabolica del massacro, Yahya Sinwar; la distruzione di Hezbollah e la fine di Nasrallah e di tutti i suoi capi; l’attacco all’Iran e l’annientamento del programma nucleare dell’uomo con il mitra in mano, l’ayatollah Ali Khamenei; la caduta del regime e la fuga del macellaio di Damasco, Bashar al-Assad. Mai come oggi il Medio Oriente ha la possibilità di svoltare, per la prima volta la Lega Araba ha chiesto all’unanimità a Hamas di liberare gli ostaggi e disarmare le milizie, ma le belve del 7 ottobre hanno ancora i loro artigli conficcati su Gaza, razziano gli aiuti alimentari, pubblicano i video degli ostaggi ebrei in condizioni disumane, sono assassini che cercano il bagno di sangue. Non hanno mai voluto i due Stati e i palestinesi - che li hanno seguiti nel culto della morte, fino a ballare nelle strade di Gaza nel giorno della strage degli ebrei del 7 ottobre - in questo scenario non lo avranno perché non ci sono più le condizioni politiche.
Perla prima volta, il governo israeliano ha un piano che non prevede il compromesso con i terroristi, non ci sarà alcun negoziato con Hamas, è aperta solo la possibilità della resa. Alcuni analisti fanno notare che si tratta di uno shock per l’élite militare israeliana, abituata di fatto a sostituirsi ai governi nella pianificazione degli obiettivi politici da conseguire.
Una generazione di generali israeliani è cresciuta e ha ingrossato le file dei centri studi di Washington con l’idea di giungere a un negoziato. Anche l’ultimo numero di Foreign Affairs presenta questo paradigma («Israel Is Fighting a War It Cannot Win», Israele sta combattendo una guerra che non può vincere, articolo firmato dall’ex comandante della Marina e capo dello Shin Bet, Amy Ayalon), dell’impossibilità di acquisire la vittoria totale su Hamas. Nessuno di questi raffinati strateghi avrebbe vinto la Seconda guerra mondiale, sarebbero stati dalla parte di Lord Halifax ieri, come sono oggi dalla parte del premier britannico Keir Starmer e del presidente francese Emmanuel Macron. Ultimo arrivato in questa galleria di tragiche figure in fuga dalla realtà è Friedrich Merz: stritolato da un’alleanza impossibile con i socialdemocratici, spaventato da un’economia in caduta libera, il cancelliere tedesco ieri ha annunciato lo stop della Germania agli aiuti militari a Israele.
La decisione è pura propaganda politica, ridicola sul piano militare (la Germania vende a Israele principalmente sottomarini, non mi risulta che nella guerra di Gaza ci sia uno scontro con i sommergibili di Hamas) ma il dato politico, quello sì è notevole e rattrista: la Germania, con tutta quella storia che ha sulle spalle, chiude gli occhi, si tuffa nell’abisso e aiuta i carnefici degli ebrei.
Netanyahu ha chiuso quella storia di «stop and go»- che conduce a una guerra che è una triplice negazione: non definita, non finita, infinita- l’altro ieri quando ha detto «non voglio perpetuare Hamas, voglio sconfiggerlo». Tutte le operazioni militari degli ultimi vent’anni hanno sempre incontrato questo limite: hanno perpetuato Hamas, lo hanno reso sempre più forte, armato e tentacolare, facendolo diventare il braccio armato dell’Iran insieme a Hezbollah in Libano, hanno convinto gli islamisti che Israele e gli ebrei potevano «essere buttati a mare».
Il piano del governo israeliano- sostenuto dagli Stati Uniti - ha una visione completamente opposta alla narrazione delle anime belle europee e di un’astratta “comunità internazionale” che fa molto rumore, si indigna (solo per i palestinesi, i morti ebrei non esistono) ma sparisce nel momento dell’azione. Quattro sono i punti del piano: 1. La soluzione dei due Stati non c’è e non ci sarà per lungo tempo, la popolazione residente potrà scegliere se andare via o integrarsi in un percorso di pace e sviluppo economico collegato con la regione; 2. Hamas sarà eliminato sul piano militare e politico, non potrà mai dominare di nuovo Gaza City e la Striscia, quanto all’Autorità Palestinese, Abu Mazen ha dimostrato tutta la sua inconsistenza, non ha alcun futuro; 3. Le milizie saranno disarmate, si tratta di un percorso parallelo a quello del Libano, guardare quanto deciso dal governo di Beirut pochi giorni fa sul disarmo di Hezbollah, concordato con gli Stati Uniti; 4. Israele non vuole occupare Gaza e restarvi, vuole eliminare il nemico e ritirarsi (com’era già avvenuto nel 2005). La Striscia non sarà territorio sovrano e sarà posta sotto il controllo di Stati arabi alleati di Israele e degli Stati Uniti.
Questo percorso è condiviso dall’amministrazione Trump che gioca sulla scacchiera mondiale, muovendo i pezzi in Medio Oriente e in Ucraina. La Casa Bianca è impegnata sui due fronti per contrastare la Cina e la Russia nella corsa energetica e tecnologica, settori chiave dove l’Europa- che non ha materie prime e ha bloccato il suo sviluppo tecnologico con una montagna di regole dettate dall’ideologia green - fa la parte del cliente, cioè della preda, come già abbiamo visto nel negoziato sui dazi. Decenni di sonnambulismo pesano e il conto è arrivato. Trump sta tentando di mettere insieme il puzzle dei due conflitti per costruire un nuovo ordine dove gli Stati Uniti sono la prima potenza tra Oriente e Occidente.
Il prossimo colloquio tra Trump e Putin sull’Ucraina (snodo di gasdotti fondamentali per l’Unione europea) avrà sullo sfondo questa battaglia: Mosca ha le sue forniture di gas interdette all’Europa, ma a loro volta gli Stati Uniti vogliono vendere gas e petrolio al Vecchio Continente (fa parte dell’accordo sui dazi) e dunque un ritorno alla vecchia “politica del tubo” appare impossibile. I russi sono anche il principale alleato di un Iran decadente (ma sempre pericoloso), mentre la Cina in queste settimane ha mostrato il suo vero lato debole: dipende dall’export americano per mantenere ordine e stabilità in uno Stato di un miliardo di persone che invecchiano rapidamente, mentre il Partito comunista cinese ha fatto salire una coltre di mistero sul presente e il futuro di Xi Jinping. Ai russi resta l’alleanza con la Cina (che gli Stati Uniti vogliono indebolire), in parte l’India di Modi (che ha appena avuto un primo avviso con le sanzioni americane), mentre in Medio Oriente i sauditi e le altre petro-monarchie del Golfo sono allineati a Washington. Il corridoio energetico che va dal gas del Qatar e sfocia nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez è il primo pilastro della strategia americana.
I palestinesi sono il grande ostacolo a questo passaggio geopolitico, sono una distrazione letale, una fonte di disordine globale, impediscono la nascita di un nuovo ordine, stabile e sicuro, ecco perché la Casa Bianca appoggia Israele, vedono il premier Netanyahu come un possibile vincitore della partita interna e sono pronti a fare concessioni a Gerusalemme sul futuro di Gaza.
Dettaglio da seguire con attenzione, per sapere, per capire: pochi giorni fa gli azionisti di Leviathan, uno dei più grandi giacimenti di gas naturale del Mediterraneo, a 130 chilometri dalla costa di Haifa, hanno siglato un accordo per esportare 35 miliardi di dollari di gas verso l’Egitto. L’azionista principale di Leviathan è la società israeliana NewMed Energy (45.3%), insieme agli americani di Chevron (39.66%) e Ratio Oil Corp. (15%), sempre israeliana. Unite i puntini e vedrete il futuro, non quello delle frasi sgangherate dei presunti statisti europei che ignorano quel che accade sotto il loro naso.