OPINIONE

Prima del vertice hanno già deciso: Trump deve fallire

di Daniele Capezzonelunedì 11 agosto 2025
Prima del vertice hanno già deciso: Trump deve fallire

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 C’è da stropicciarsi gli occhi e da rimanere francamente basiti. Prendi un quotidiano a caso (italiano, francese, tedesco, britannico, statunitense), e trovi pressoché ovunque, con eccezioni più rare di un quadrifoglio, giudizi senza appello e privi di sfumature sul vertice di Ferragosto in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin. L’Editorialista Unico ha già deciso che sarà un disastro. Delle due l’una: o molte grandi firme sono dotate di poteri profetici, dei doni magici della preveggenza e della chiaroveggenza, oppure il pregiudizio si è ormai impossessato del modo di ragionare - prim’ancora che delle parole di osservatori che pure vengono ritenuti autorevoli.

Ad un’analisi minimamente obiettiva dei fatti, quando mancano alcuni giorni a quel summit, nessuno (nemmeno Trump e Putin!) sa come andranno davvero le cose. E sarebbe intellettualmente onesto prepararsi a ogni esito, dal più catastrofico al più desiderabile. Anzi: sarebbe un esercizio di correttezza nei confronti del lettore provare a illustrare prima non l’esito effettivo del meeting (impossibile da conoscere), ma svolgere insieme una ricognizione di tutti i possibili scenari, senza trascurarne alcuno. Cito a mero titolo di esempio. Esito negativo secco: nessuna intesa, fallimento del dialogo, prosecuzione del conflitto senza prospettive. Oppure, esito negativo nel merito: Russia “premiata” che ottiene a tavolino molto più di ciò che sia riuscita a conquistare sul campo. Oppure, terza ipotesi e esito già molto più accettabile: pesanti concessioni territoriali da parte dell’Ucraina, in cambio però di significative garanzie di protezione futura ottenute da Kiev. Oppure, quarta alternativa con esito largamente desiderabile: adeguata protezione futura per l’Ucraina e concessioni territoriali limitate a ciò che oggi è effettivamente “fotografabile” sul campo di battaglia come conquista russa già avvenuta. Ho enumerato quattro ipotesi, ma il ventaglio delle possibilità e delle sfumature è ancora più ampio, e il fattore tempo potrà rivestire un ruolo decisivo: ci sarà un cessate il fuoco immediato? Oppure la tempistica sarà dilatatissima, al punto da far immaginare altri mesi di battaglia? Non solo. In ballo non c’è solo il conflitto russo-ucraino: l’uscita da quella guerra, pur rilevantissima, è un aspetto dell’architettura più vasta che Trump vorrebbe costruire.

Nei suoi desideri (riuscirci è tutt’altra cosa, ovviamente) c’è un riassetto complessivo delle relazioni con Mosca, un tentativo di evitarne la saldatura definitiva con Pechino, e un contributo russo da ottenere anche nel quadrante mediorientale. Anche qui, tutto può accadere: può succedere che Putin usi Trump, si faccia riammettere alla grande nel consesso internazionale, salvo però continuare a perseguire obiettivi radicalmente ostili all’Occidente; oppure può accadere che pure Mosca faccia i conti con la realtà, con le sue perdite sul campo, con un quadro economico russo non brillante, con la necessità di non sciupare l’occasione rappresentata da un’intesa a tutto campo con Washington. Di nuovo, non possiamo sapere in anticipo come finirà il match. Sarebbe serio illustrare queste ed altre ipotesi, delineare scenari, ragionare laicamente su ogni esito possibile. E invece no: una polarizzazione disperata e fanatica induce quasi tutti a “sapere” già adesso che il summit sarà una catastrofe. È la tesi degli odiatori scatenati di Trump, largamente dominanti nelle redazioni di mezzo mondo. Tira la volata - per citare una testata internazionale - il Washington Post, che già vede una riedizione di Monaco 1938, con Trump novello Chamberlain, un cedimento a Hitler (oggi a Putin), e un’umiliazione che - come si sa non evitò il successivo scoppio della guerra mondiale. Anche qui: purtroppo questa è una eventualità da non trascurare (e che Trump farà bene a scongiurare: e - beninteso - sbaglia pure in senso opposto chi, in area trumpiana, è strasicuro che il vertice sarà un successo), ma esistono anche finali di partita meno ignominiosi - e anzi decisamente più auspicabili - che varrebbe la pena di considerare. Specie se, e la cosa non riguarda solo il Washington Post, nei lunghi anni delle presidenze di Obama e Biden, si è accettato e anzi esaltato ogni possibile cedimento (veramente da Monaco ’38), ad esempio a favore del regime degli ayatollah di Teheran. Ma allora, trattandosi di presidenti dem, la stampa progressista lanciava petali di rose...