Vince anche Bibi Netanyahu, certo, forse vince soprattutto lui, anche se nel tinello mediatico-intellettuale del Belpaese non puoi dirlo (ma parliamo di gente ormai fattualmente superata, per moderazione e attitudine al dialogo, perfino da Hamas). Eccesso di entusiasmo su pagine che, spesso in splendida solitudine, non hanno mai ammainato la bandiera dell’unica democrazia del Medio Oriente? No, riscontro empirico, “verità effettuale della cosa”, diceva il Machiavelli, da sempre indigesta ai cavalieri della virtù del “pacifismo” astratto e sbilanciato (sempre dalla parte sbagliata, quella dei tagliagole). La pace concreta che sta prendendo corpo in Medio Oriente, con la fatica di ogni spartiacque epocale, la pax trumpiana, è anzitutto pace attraverso la forza. E la forza, in questo scacchiere che poi non è un pezzo di risiko, è il luogo infernale in cui è ripiombato nelle vicende umane lo spettro del pogrom, è stata soprattutto quella di Israele. Senz’altro sono stati di Israele gli stivali sul terreno, l’offensiva al cuore di Hamas e più in generale della Piovra islamista, le azioni di intelligence capillari e spariglianti su tutto il fronte. Anzi, su tutti i fronti, perché in particolare dal fatidico 7 ottobre, lo Stato degli ebrei era aggredito da ogni lato.
MOMENTO CHURCHILL
Ed è lì, nell’ora più buia, che il premier israeliano ha retto il colpo della Storia, ha avuto il suo “momento-Churchill”. Ha ideato (è un singolare che comprende lo sforzo di tutti gli apparati governativi e militari, ovviamente, ma la scintilla è la sintesi politica) e eseguito l’operazione-capolavoro dei cercapersone contro Hezbollah, il tentacolo più micidiale tra quelli manovrati dagli ayatollah, decimandone la leadership e arrivando fino all’uccisione del capo carismatico Hassan Nasrallah. Ha svolto un ruolo attivo e fondamentale nella caduta del regime di BasharAl Assad, puntello indispensabile di Teheran nella regione, facendone saltare la continuità stessa della Mezzaluna Sciita, il corridoio di rifornimenti e Terrore diretto anzitutto contro gli ebrei. Dopodiché, è andato in fondo militarmente contro Hamas, subendo le sue regole barbare e asimmetriche, i civili scaraventati in prima linea come scudi umani. Ha eliminato uno a uno tutti i gerarchi di Hamas che gridavano: «Ci serve il sangue dei bambini palestinesi!», da Mohammed Haniyeh a Yahya Sinwar, nel silenzio, anzi nell’ostilità, delle anime belle.
Soprattutto, non le ha ascoltate, non ha ascoltato la balbettante Europa e l’Onu ridotto a centrale antisionista (a essere benevoli), ad esempio entrando coi carri armati a Rafah, nel sud della Striscia. Là dove il Media Unico raccontava soltanto profughi in fuga, e invece i soldati di Bibi hanno trovato corpi di ostaggi giustiziati e tunnel dell’Orrore in serie. E, infine, non ha avuto paura di alzare l’asticella, di andare alla guerra dei dodici giorni contro i tagliagole in capo, Khamenei e i pasdaran iraniani, che erano a pochi metri dall’inaccettabile, la costruzione della Bomba antisemita, il sogno di Hitler (qui con l’indispensabile sostegno dei B-2 americani che hanno incenerito i siti nucleari). È stato questo percorso biennale durissimo e terribile che ha creato le precondizioni indispensabili perché Hamas diventasse sensibile alle pressioni arabo-sunnite (a loro volta innescate dalla tela diplomatica e sì, financo commerciale, di Trump): l’inconsistenza militare ormai palese del Movimento di Resistenza Islamico e la debolezza smascherata del suo (supposto) protettore iraniano. Voilà la pace attraverso la forza, punto d’incontro tra l’opera di Bibi e quella di Donald. Come ha riassunto Netanyahu in queste ore: «Grazie alla nostra ferma determinazione, alla potente azione militare e ai grandi sforzi del nostro grande amico e alleato, abbiamo raggiunto questo punto di svolta cruciale».
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È la cronaca che si raggruma in Storia mentre ancora scorre, ma è anche la continuità di un percorso politico. Sapete qual era lo slogan della prima campagna elettorale (vittoriosa) di Bibi, annodi grazia 1996? “Netanyahu- Per una pace sicura”. La pace sicura, l’unica che esiste nelle peripezie di quel legno storto che è l’uomo, in Medio Oriente ha sempre avuto connotati ben precisi. Cessazione della pratica terroristica quotidiana contro gli ebrei dalla Striscia, cessazione del martellamento di missili e razzi dal Libano egemonizzato da Hezbollah, cessazione della minaccia nucleare iraniana. Dal 7 ottobre, il giorno innominabile del pogrom, si è aggiunta una macro -condizione: restituzione dei corpi degli ebrei sequestrati, vivi o morti. «Fin dall'inizio ho chiarito: non ci fermeremo finché tutti i nostri ostaggi non saranno tornati e tutti i nostri obiettivi non saranno raggiunti». Ora accade, sta accadendo. Ora quello slogan si ancora alla realtà, ora può essere pace sicura, anzitutto perché è stata pace attraverso la forza. Per cui sì, ora vince anche Bibi.