La distanza da New York a Miami è cinque volte quella tra Cuba e Miami, più di duemila chilometri di costa contro i 370 in linea d’aria con L’Avana. Ma i voli di collegamento sono tanti, durano appena tre ore, il biglietto non viene granché, e comunque non sarebbe un problema. Così, dopo settant’anni, la città della Florida sarà ancora una volta rifugio per coloro che fuggono dal comunismo. Negli anni Sessanta, gli anti -castristi raggiunsero il quartiere di Riverside e lo ribattezzarono Little Havana. Dall’altroieri saranno i milionari newyorkesi ad atterrare a Miami e a incastonare tra le palme il sesto distretto di New York, una dépendance di Wall Street a prova di uragano.
Donald Trump ha ridacchiato mercoledì, durante l’inaugurazione dell’America Business Forum al Kaseya Center di Miami, appunto, nel suo stato adottivo, davanti a una platea di dirigenti aziendali: si è dato da solo una pacca sulla spalla per l’anniversario della sua rielezione e gli è toccato accennare ai risultati elettorali. «I democratici sono così estremisti che Miami diventerà il rifugio di quanti fuggono dal comunismo a New York City», ha scherzato.
In effetti, però, ha confermato il costruttore di immobili di pregio Isaac Toledano, «molti cittadini della Florida daranno a Mamdani un premio per essere stato il miglior agente immobiliare dell’anno». Toledano, amministratore delegato di Bh Group, ha raccontato al Financial Times che la tendenza è stata registrata negli ultimi quattro mesi, da quando cioè Zohran Mamdani ha stravinto alle primarie dei democratici. Da allora la sua azienda ha firmato contratti con cittadini newyorkesi per un valore superiore a 100 milioni di dollari, circa il doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Toledano è soltanto uno dei tanti costruttori con sede a Miami che sperano di trarre profitto dall’arrivo a Gracie Mansion del trentaquattrenne socialista democratico che vuole il congelamento degli affitti, una tassa aggiuntiva del 2% per i milionari e un aumento dell’imposta sulle società, che passerebbe dal 7,25% all’11,5%. Di contro, i potenziali acquirenti troverebbero un’imposta sul reddito delle società al 5,5%, l’assenza dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, un clima tropicale e inarrivabili centri fitness di fronte al mare: un bengodi che ha già fatto voglia a grandi nomi della finanza, da Ken Griffin, il miliardario proprietario dell’hedge fund Citadel, e l’investitore Carl Icahn, uno dei primi corporate raider di Wall Street.
Dina Goldentayer, specializzata in immobili dal valore superiore ai 10 milioni di dollari, solitamente ha a che fare con gli “uccelli delle nevi”, clienti che affittano proprietà durante l’inverno e soltanto dopo diversi anni passano all’acquisto. «Adesso», ha speigato, «gli acquirenti provenienti da New York scelgono direttamente a una residenza permanente».
Ma non è solo questione di denari: Edgardo Defortuna, amministratore delegato del Fortune International Group, ha raccontato di aver venduto di recente un’unità in un complesso residenziale di lusso a North Miami Beach a un newyorkese che desiderava avere un «posto sicuro» nel caso in cui Mamdani fosse stato eletto sindaco. Con un sindaco musulmano che voleva togliere i fondi alla polizia e che non ha mai condannato l’espressione “globalizzare l’Intifada”, sono in molti a pensare che la grande mela diventerà insicura. Secondo Greg Kraut, amministratore delegato di Kpg Funds, il più grande costruttore di uffici di New York, i ricchi ebrei preoccupati per le politiche del signor Mamdani nei confronti di Israele si stanno trasferendo nel Connecticut, uno stato a bassa tassazione, a breve distanza da New York e con una numerosa comunità ebraica.
«Se guadagni un milione di dollari all’anno a New York, puoi permetterti di avere una famiglia. Ora aggiungeranno più tasse: se non ti offrono una migliore sicurezza pubblica e senti che alla gente non piace la tua religione o il tuo luogo di nascita, perché stare lì?», ha spiegato.
Miami non sarà l’unico approdo dell’esodo: in fila per ospitare le grandi società bancarie ci sono Boca Raton, sempre in Florida; Nashville, in Tennessee; Philadelphia, in Pennsylvania; Wilmington, in Delaware. All’elezione di Donald Trump, attori e cantanti, e la figlia transessuale di Elon Musk, piansero sui social dichiarando di voler scappare dagli Stati Uniti a causa di fantasiose minacce alla propria incolumità. Ora i miliardari della culla del capitalismo, che durante la campagna elettorale hanno investito cifre a sei zeri nel tentativo di fermare Mamdani, sono pronti a far le valigie per un programma elettorale anti-business di dubbia realizzabilità. C’è da sperare che siano tutti come Bill Ackman, il miliardario gestore di hedge fund che ha versato 1,75 milioni di dollari contro il neo primo cittadino, ma che ieri si è congratulato con lui e ha aggiunto: «Se posso aiutare New York, fammi sapere che devo fare». Diversamente, le implicazioni economiche globali sarebbero gravi.




