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OPINIONE

Una tregua non basta. Per la pace serve un nuovo ordine

di Lodovico Festamercoledì 10 dicembre 2025
Una tregua non basta. Per la pace serve un nuovo ordine

4' di lettura

Alcune valutazioni del documento della National Security Strategy americana sullo stato del mondo mi hanno un po’ sconcertato non solo per la contraddizione tra il volersi ritrarre dal dare lezioni a questo e quello Stato, e poi esprimere una serie di giudizi sbrigativamente assertivi sulla situazione interna dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, ma anche per il tono retorico -propagandistico di certi giudizi ben poco adatto a un documento ufficiale. D’altra parte Il Maga (cioè “fai l’America ancora grande”), oggi egemonico tra i Repubblicani, ha questo stile movimentistico che produce una certa sottovalutazione della politica e della diplomazia. Stile che ha già provocato alcuni più o meno gravi incidenti con il Canada, con la Danimarca-Groenlandia e con l’orgoglio di una nazione decisiva come quella indiana: uno stile politico che se non governato meglio - come dimostrano diverse elezioni locali del novembre scorso- può portare a reazioni negative di elettori di una democrazia che in barba a tutti i profeti di sventura - è ancora assolutamente efficiente.

Però al di là di tutto mi pare che l’impostazione della politica estera americana parta da una considerazione particolarmente rilevante cioè che si debba prendere atto come la speranza di un mondo governato da istituzioni sovranazionali sia al momento oggettivamente almeno in stand by e che dunque si debbano ricostruire accordi sulla sicurezza tra Stati che prevengano catastrofiche crisi globali, spegnendo i più pericolosi focolai di guerra ancora accesi. In questo senso è stato un grande successo evitare che una certa area di ebrei ultraortodossi in Israele impedisse il dialogo con quella setta di assassini fanatici che è Hamas, dialogo non complice ma necessario per costruire un quadro di sicurezza in tutto il Medio Oriente.

La principale obiezione sostanziale alla strategia proposta dalla Nsa in Europa è quella che considera la Russia putiniana un pericolo vitale per la nostra civiltà paragonabile al nazismo. E dunque cedere territorio ucraino sia come cedere i Sudeti, Donald Trump finisca per essere assimilato a una figura a metà tra Neville Chamberlain e Joachim von Ribbentrop, le concessioni per trovare una pace siano la via per autorizzare le prossime invasioni di cosacchi dal Reno al Tamigi. È evidente che la criminale invasione russa in Ucraina non può riportare la situazione a prima del febbraio 2022, ed è inevitabile che qualsiasi accordo con Mosca non possa non prevedere anche investimenti militari contro nuove possibili tentazioni di imperialismo tardo zarista. Ma veramente la scombinata politica alla Pietro il Grande del Cremlino dei nostri giorni è paragonabile alla delirante scalata nazista al predominio della razza ariana sul mondo? Il sostegno di una Chiesa ortodossa con numerosi contatti nell’Est e nel Meridione europeo sarebbe omologo al diabolico paganesimo hitleriano?

Non sarebbe utile riflettere sul fatto che le armate tedesche dopo il settembre del 1939 in un anno occuparono Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Polonia, Norvegia, Danimarca, Cecoslovacchia, mentre in tre anni le armate putiniane non son riuscite a conquistare nemmeno tutto il Donbass? Oggi il quadro internazionale in realtà ricorda per tanti aspetti il primo Novecento: una massiccia globalizzazione dei commerci senza un quadro politico che la stabilizzi, una potenza emergente (la Germania prussiana allora, la Cina oggi) che vuole destabilizzare la potenza egemone (la Gran Bretagna allora, gli Stati Uniti oggi); una fiducia cieca in una tecnologia risolutrice di tutti i problemi che parallelamente produceva un diffuso nichilismo; una corsa alle “materie prime” tale da generare costantemente conflitti; la disgregazione geopolitica prodotta dalla crisi di imperi come quello ottomano e asburgico che ricorda la fine dell’Urss e i terribili travagli di un’Unione Europea dove ben tre maggiori nazioni (Francia, Spagna, Germania) hanno complicate difficoltà politiche interne. Se questa analisi non è infondata, non è secondaria la possibilità che tra i tanti conflitti in corso nel mondo, dall’Europa all’Africa, dal Medio Oriente all’America del Sud, si sprigioni una scintilla tale da incendiare il pianeta. Ecco perché è urgente spegnere i focolai che possono provocare crisi terrificanti. Farlo con onore prevenendo anche le possibili conseguenze per il futuro non è semplice.

Ma è impossibile avere risultati se non si ricercano e se non è chiaro l’obiettivo che ci si pone cioè quello di avere una serie di trattati tra grandi potenze per circoscrivere le future crisi. I grandi periodi di pace nell’epoca moderna, l’umanità li ha vissuti quando grandi trattati hanno definito la cornice dei rapporti internazionali: così il Trattato di Vestfalia nel 1648 che mise fine al principale conflitto tra protestanti e cattolici, così il Congresso di Vienna del 1815 che costruì la pace postnapoleonica, così la Conferenza di Yalta del 1945 che preparò mezzo secolo senza conflitti generali. In questo senso è necessario perseguire un simile obiettivo anche oggi con tutta la vigilanza democratica necessaria ma anche con tutta la determinazione possibile.