Il cinese Wan-Hoo nel XVI secolo voleva andare sulla luna e allora legò a una sedia 47 razzi a polvere pirica che però lo disintegrarono e il tentativo si esaurì in un lampo. Il tedesco Wernher von Braun a 12 anni nel 1924 munì un carretto giocattolo di una dozzina di razzi che lo fecero sfrecciare come una cometa incontrollabile sulle strade cittadine finendo in stato di fermo della polizia. L’americano John Noble Wilford il 20 luglio 1969 divenne la voce della conquista dello spazio con la prima passeggiata lunare grazie all’epopea dell’Apollo 11. Una leggenda cinese, la scienza tedesca trapiantata nel Nuovo mondo e la capacità tutta americana di trasformare i sogni in realtà, con la cronaca giornalistica divenuta storia proprio grazie a Wilford.
Ha lasciato questa terra, da cui ha visto, vissuto e raccontato lo sbarco dell’uomo sul satellite che ha ispirato poeti, sognatori e scienziati, l’8 dicembre, giorno d’inizio delle festività che culminano con l’apparizione della cometa di Betlemme. La sua stella professionale si è accesa illuminando una carriera straordinaria dedicata alla scrittura e consacrata da due premi Pulitzer, da una serie di libri di successo, da uno stile che rendeva vivo ciò che descriveva.
Complotti freschi: Kennedy, Carlo III e Astrosamantha
Nel 2024-25 sono nate e si sono diffuse nuove teorie del complotto a livello mondiale. Ecco di seguito alcune delle pi&u...È andato via a 92 anni nella sua casa di Charlottesville in Virginia, per un cancro alla prostata. Nato nel Kentucky nel 1933, da subito appassionato di giornalismo secondo la miglior tradizione anglosassone, si laurea nel 1955 all’Università del Tennessee e aggiunge l’anno seguente anche un master in scienze politiche, quando aveva già iniziato a scrivere sul principale quotidiano di Memphis. Ma il destino ha in serbo per lui altre luci della ribalta, e passando dal Wall Street Journal e dall’esperienza di reporter medico approda al New York Times come reporter scientifico.
È il 1965. Mentre sulla terra Martin Luther King marcia in Alabama per il diritto di voto degli afroamericani, il cosmonauta sovietico Aleksej Leonov, nato sette mesi dopo Wilford, il 18 marzo esce dalla capsula Voschod 2 e per dodici minuti galleggia nello spazio.
L’America risponde quasi subito alla sfida tecnologica e nemmeno due mesi dopo, il 4 giugno, con la missione Gemini 2 è la volta di Edward White. La sfida tra le due superpotenze si disputa tra le stelle ed è già scattata la gara verso la luna, lì dove poeticamente Astolfo era andato a recuperare il senno di Orlando, dove il visionario Jules Verne aveva indirizzato il futuro prossimo venturo, dove nel 1902 il regista Georges Méliès in un iconico film muto mandava un missile proprio nell’occhio del satellite bianco.
Al grande appuntamento epocale Wilford è in prima linea. È già una firma di prestigio, è capace col suo stile fluido di rendere semplici i concetti scientifici più complicati, grazie allo studio e alla conoscenza approfondita degli argomenti che tratta. Sa raccontare come pochi. Quando l’Apollo 11 si poggia sulla polverosa superficie lunare e ne escono gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin, con Michael Collins in orbita nel modulo di comando, non può che essere lui a scrivere l’articolo in prima pagina del NYT a caratteri di scatola, come si diceva allora, dal titolo “Men walk on Moon”.
Non è solo una cronaca, è un racconto per immagini, con particolari straordinari come l’accelerazione del battito cardiaco di Armstrong nel momento in cui tocca il suolo (da 77 a 156), il trionfo della tecnologia e del coraggio dell’uomo, la conquista di un altro mondo che sembrava irraggiungibile, ma anche il risultato più sorprendente di ciò che con l’intelligenza, il sacrificio e le risorse può fare l’umanità. Ma lui ne ha anche descritto i fallimenti, come l’incendio dell’Apollo 1 il 27 gennaio 1967 che nella simulazione di lancio provocò la morte degli astronauti Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee, o il disastro in mondovisione dello Space Shuttle Challenger il 28 gennaio 1986, esploso dopo 73 secondi di volo uccidendo l’intero equipaggio di sette uomini e donne.
Due anni prima era stato insignito del Premio Pulitzer per i suoi articoli scientifici, con la motivazione che riuscivano a trasmettere gli aspetti più suggestivi della scienza esprimendone con precisione i concetti di verità. Nel 1987 arriverà il secondo Pulitzer come componente di un gruppo di giornalisti che aveva fornito la copertura mediatica al disastro dello Shuttle. In bacheca conservava altri premi e riconoscimenti di primissimo livello. Wilford a quaranta anni dallo sbarco dell’uomo sulla Luna ha dichiarato che allora era consapevole che stava scrivendo la storia più grande della sua carriera, «a meno che non abbia l’occasione di fare un reportage sulla scoperta di altra vita nell’universo».




