La Strategia di sicurezza nazionale (National Security Strategy, Nss) pubblicata dall’amministrazione Trump segna una netta rottura con i presupposti che hanno guidato la politica estera degli Stati Uniti per decenni. Le alleanze non vengono più valutate in base alla storia, a una retorica condivisa o all’appartenenza istituzionale, ma in base ai risultati: chi rafforza la potenza americana, chi aumenta la resilienza degli Stati Uniti e su chi si può contare in un’epoca di competizione strategica. Questo cambiamento ha conseguenze, in particolare per l’Europa.
L’Europa resta un alleato, ma non è più il centro di gravità indiscusso della strategia americana. La Nss indica chiaramente che Washington privilegia ormai i partner in grado di fornire risorse concrete - capacità tecnologiche, forza industriale, catene di approvvigionamento sicure - rispetto a quelli che principalmente richiedono attenzione e protezione americane. Non si tratta di temporaneo cambiamento d’umore diplomatico, ma di una più profonda riorganizzazione delle priorità degli Stati Uniti.
L’espressione operativa di questo riorientamento è Pax Silica, un quadro selettivo guidato dagli Stati Uniti, concepito per garantire il predominio nelle tecnologie critiche e nelle catene di approvvigionamento che le sostengono. Pax Silica disciplina la cooperazione nei settori dei semiconduttori, dell’intelligenza artificiale, del cyberspazio, dei sistemi di difesa avanzati e degli ecosistemi industriali affidabili. L’adesione non è automatica: è condizionata. Nel quadro di Pax Silica, le alleanze vengono valutate in base alla capacità dei partner di coprodurre sicurezza con gli Stati Uniti, rapidamente e su larga scala. Questo quadro è esclusivo e rivela una nuova realtà: l’Europa non fa parte di Pax Silica, Israele sì.
La base dell’innovazione europea è frammentata, fortemente regolamentata e politicamente vincolata. La sua capacità industriale nel settore della difesa si è indebolita, la sua integrazione tecnologica negli ecosistemi di sicurezza statunitensi è limitata e il processo decisionale strategico è rallentato da una paralisi istituzionale. Come blocco, l’Europa è in larga misura una consumatrice di sicurezza piuttosto che una coproduttrice. Israele, al contrario, si colloca pienamente all’interno di Pax Silica. È profondamente integrato nelle reti di difesa e innovazione americane, partecipando allo sviluppo congiunto di sistemi di difesa antimissile, capacità informatiche, applicazioni militari basate sull’intelligenza artificiale e piattaforme di intelligence. La sua cultura della sicurezza privilegia la rapidità, la sperimentazione e l’integrazione dell’innovazione civile nella difesa nazionale - esattamente le qualità che Washington oggi apprezza. In termini di Pax Silica, Israele non è periferico: è centrale.
Se la politica estera americana si sta orientando verso partnership basate sulla prestazioni, i Paesi europei si trovano di fronte a una scelta strategica. Possono continuare a presumere che l’appartenenza istituzionale garantisca rilevanza, oppure adattarsi allineandosi con i partner che oggi contano davvero a Washington. Israele offre agli Stati europei un modo concreto per fare questa scelta. Collaborando con Israele nei settori delle tecnologie di difesa, della resilienza cibernetica, dell’intelligenza artificiale e ora dell’energia, i Paesi europei possono inserirsi in Pax Silica invece di restarne esclusi. Israele funge da porta d’accesso strategica: un partner affidabile degli Stati Uniti attraverso il quale gli Stati europei possono riavvicinarsi al cuore della potenza americana anziché scivolare verso la sua periferia.
L’energia rafforza questa logica. Il recente accordo sul gas naturale da 34,7 miliardi di dollari tra Israele ed Egitto - il più grande contratto commerciale nella storia di Israele - dimostra come il ruolo di Israele si stia estendendo oltre la tecnologia fino al campo delle risorse strategiche. L’accordo prevede l’esportazione di circa 130 miliardi di metri cubi di gas dal giacimento israeliano di Leviathan fino al 2040, legando Gerusalemme e Il Cairo in una relazione di interdipendenza infrastrutturale di lungo periodo. Questo sviluppo avviene in un momento critico. L’invasione russa dell’Ucraina ha messo in luce la vulnerabilità europea nei confronti di fornitori energetici ostili e ha sottolineato una realtà che la Nss dà per acquisita: la sicurezza energetica è sicurezza nazionale. Sebbene la transizione energetica resti essenziale, i prossimi decenni saranno ancora segnati dal gas naturale e da chi lo controlla. Israele offre all’Europa un’alternativa rara: un fornitore energetico democratico, tecnologicamente avanzato e allineato all’Occidente, situato vicino ai mercati europei. Attraverso i terminali di liquefazione egiziani, il gas israeliano può essere trasformato in Gnl ed esportato in Europa, creando un corridoio energetico mediterraneo che aggira la Russia e altri colli di bottiglia ostili.
Un vero e proprio friend -shoring energetico. Per Washington, questo sviluppo si sposa con l’enfasi posta dalla Nss sulla protezione delle catene di approvvigionamento dal controllo di potenze avversarie. Per l’Europa, offre qualcosa di altrettanto importante: un modo concreto per dimostrare la propria rilevanza in un ordine internazionale guidato dagli Usa che premia sempre più il contributo effettivo rispetto al pedigree istituzionale. Queste dinamiche conducono a una conclusione strategica che molti europei esitano a riconoscere.
Israele non è più solo una questione mediorientale o una complicazione diplomatica. Sta diventando un pilastro dell’architettura strategica occidentale- tecnologico, militare e anche energetico. I governi europei che vogliono trovarsi dalla parte vincente della politica estera americana sotto Trump dovrebbero trarne insegnamento. Collaborare con Israele non è un gesto ideologico, ma un adattamento strategico alle nuove regole del gioco.
Il vecchio ordine transatlantico dava per scontata la centralità dell’Europa; la nuova strategia americana non lo fa più. Nel quadro della Strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, rafforzata da Pax Silica e dalle dure realtà energetiche, la rilevanza non si eredita: si conquista. A differenza di Israele, l’Europa non l’ha ancora conquistata.
di Emmanuel Navon
Docente di relazioni internazionali all’Università di Tel Aviv e ricercatore associato presso il Jerusalem Institute for Strategy and Security




