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Ursula von der Leyen, l'arroganza della super-burocrate: allusioni vergognose

Iuri Maria Prado
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Semmai qualcuno avesse potuto considerare ambigue le parole di Ursula von der Leyen (se l'Italia deraglia, ha detto, quassù abbiamo gli strumenti per rimetterla in riga), dalla Commissione Ue hanno fatto chiarezza: la signora, spiegano, ha «messo in evidenza il ruolo di guardiano dei trattati della Commissione in particolare nel settore dello stato di diritto». E a quel punto assumevano il peso che assumevano (nessuno) le rassicurazioni secondo cui la Commissione «lavorerà con ogni governo che uscirà dalle elezioni». 

 

Già il fatto che si siano costretti a un simile recupero in corner evidenzia bene che i modi, più autoritari che autorevoli, di quella donna germanicamente compiaciuta del proprio strapotere si sono sbrigliati in direzione sbagliata e in un momento sbagliatissimo: salvo credere che a nessuno venga in mente che l'allusione a un deragliamento italiano abbia qualcosa a che fare con l'imminente esito delle elezioni politiche.

 

Non ci si rende conto, evidentemente, che quando la retorica dei settant' anni di pace è adoperata per trasformare il pacco dei trattati comunitari in un vangelo multilingue, e le carovane di funzionari europei in una consorteria apostolica vigilante sul legno storto degli insubordinati, allora le ragioni dell'unità continentale faticano ad accreditarsi e sono percepite come l'ennesima balla dell'ennesimo potere protervo. Quanto più insisteranno con questo andazzo, con la signora in ghingheri che promette bacchettate ai monelli, tanto più l'Europa giuridica sarà considerata una spiacevole presenza, con poca possibilità di farsi apprezzare per le cose buone- che pure ci sono - arrecate ai cittadini dei Paesi membri. 

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