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Ursula von der Leyen chiama gli islamici a raccolta contro Putin

Daniele Dell'Orco
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La Commissione Europea ha proposto ieri di conferire alla Bosnia-Erzegovina lo status di «Paese candidato» all'ingresso nell'Ue. «I Balcani Occidentali appartengono alla famiglia europea», ha detto il presidente della Commissione Ursula von der Leyen, parlando a Bruxelles alla Conferenza degli ambasciatori. L'annuncio, accolto con giubilo dalle autorità di Sarajevo, sembra in realtà una promessa da marinaio che Bruxelles vuole fare per tamponare un clima di tensioni etniche e lotte politiche che da anni minacciano seriamente il suo delicato sistema di condivisione del potere tra bosniaci (musulmani), croati di Bosnia (cattolici) e serbi (ortodossi). Da quasi vent' anni la Bosnia staziona nella lista d'attesa Ue: è stata identificata per la prima volta come «potenziale» candidato nel giugno 2003 e ha presentato la sua domanda formale nel febbraio 2016. Le difficoltà della Bosnia nella transizione verso un sistema di governo democratico e liberale compiuto però permangono.

 

 

È di giugno scorso l'iniziativa presa già dal Consiglio europeo che aveva affermato di essere «pronto» a concedere alla Bosnia lo status di candidato e aveva chiesto proprio alla Commissione europea di riferire in merito all'attuazione di 14 priorità chiave della sua relazione per il 2019, che coprono aree delicatissime quali la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti fondamentali e la riforma della pubblica amministrazione. «Ci aspettiamo che i leader della Bosnia-Erzegovina sfruttino appieno questa opportunità e realizzino le seguenti riforme il prima possibile», ha dichiarato Olivér Várhelyi, Commissario europeo per il vicinato e l'allargamento, presentando il rapporto 2022.

 


L'AIUTINO
Un rapporto che riconosce le «turbolenze politiche» e la «stasi legislativa» all'interno del Paese e mostra la mancanza di progressi nella maggior parte dei settori principali, nonché il mancato rispetto delle sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) in materia di discriminazione dei diritti elettorali. La Commissione in sostanza più che promuovendo la Bosnia la sta spingendo in tutti i modi a mettere le carte in regola per entrare nell'Ue, vista la situazione a dir poco instabile in tutta la regione. Bruxelles ha paura di perderla.

 

 

Del resto basta guardare alle recenti elezioni del 2 ottobre, il cui risultato è bloccato da dieci giorni. Il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, membro serbo uscente della presidenza tripartita bosniaca, ha rivendicato la vittoria come presidente della Republika Srpska, l'entità serba di Bosnia che copre oltre un terzo del territorio. I componenti della commissione elettorale centrale hanno annunciato di voler procedere al riconteggio dei voti per via di presunte irregolarità. Dodik, a sua volta, ha presentato denuncia penale contro i componenti. Non proprio un bel clima. Senza considerare che Dodik da sempre tiene stretti legami non solo con il governo di Belgrado ma anche con la Russia di Vladimir Putin, che l'ha spalleggiato quando iniziò a parlare apertamente di ipotesi "secessione" della Republika Srpska.


PAURA DI PUTIN
L'Ue vuole evitare che la Bosnia finisca in mano russa e sta cercando di spingere i leader bosniaci a realizzare in pochi mesi riforme che non sono riusciti a fare in due lustri. Questo clima caustico ha spinto il Paese al deterioramento delle condizioni socio-economiche che ha provocato una vera e propria emorragia (si stima che entro il 2050 la Bosnia possa perdere il 20-30% della propria popolazione) e la sua economia nel 2020 ha subito la peggiore recessione degli ultimi 25 anni.


Per non parlare del pericolo integralismo islamico in un Paese musulmano al 51%, con le influenze di realtà sunnite come Turchia, Emirati, Arabia Saudita e Qatar che spingono quasi mai verso il benessere e ,,, molto spesso verso la proliferazione del wahhabismo (interi villaggi come Bosanska Bojna sono stati caratterizzati addirittura da accenti pro-Isis) e della drammatica gestione dei migranti della rotta balcanica che proprio in Bosnia, a Bihac e Velika Kladusa, stazionano a migliaia nel tentativo di entrare in Ue. C'è stata mancanza di prospettive offerte dai leader politici bosniaci e un certo disinteresse dei vertici europei. Ma ora che negli spazi vuoti si k sono inseriti Putin, Erdogan e il serbo Aleksandar Vucic, l'Ue prova a indorare il profilo disastrato della Bosnia per renderla appetibile agli occhi dell'Occidente. 

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