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Vino, così con un'etichetta la Ue ripudia (di nuovo) le radici cristiane

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Renato Farina
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Scrivere sulle etichette che «il vino nuoce alla salute», oltre che essere una tipica calunnia da beoni irlandesi di Guinness, è un chiaro segno di sottomissione all’Islam e alla Coca Cola. Un piccolo passo per l’Irlanda verso l’idiozia ma un grande balzo dell’Europa verso il suo stesso rinnegamento. Dopo aver estirpato le radici giudaico-cristiane dalla costituzione, adesso si passa al pratico: è in corso la character assassination del vino che Gesù Cristo ha proposto ai discepoli come bevanda in realtà “transustanziata” nel suo stesso sangue. Il Vangelo racconta che il Nazareno di questo «frutto della vite e del lavoro dell’uomo» ne regalò con il suo primo miracolo damigiane agli sposi di Cana. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha fotografato la situazione con ironia dolente: una «scelta gravissima», ha detto, aggiungendo che si accusa Gesù di aver provato «ad avvelenare», su istigazione di sua Madre, i convenuti alle nozze.

Questo caso fa capire perché la dizione del dicastero di Lollobrigida contempli la «sovranità alimentare». Quel lo dell’Irlanda non rappresenta soltanto un atto di sabotaggio economico, che c’è e resta comunque una rottura della presunta fraternità europea, un’aggressione culturale e simbolica all’identità dei Paesi mediterranei, una provocazione ideologico-salutistica per conto dei Paesi del Nord che assistono silenti e contenti a questo agguato da falsari del gastronomicamente corretto. Da sempre, proibire o imporre cibo e bevande, è tipico del potere religioso che si affianca a quello politico, fino a confondersi con esso. L’Islam insegna.

 

 

 

QUESTIONE DI CIVILTÀ

Bruxelles sta tornando a prima della rivoluzione portata dal cristianesimo: «Restituite a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio». Cesare a Bruxelles si è allargato, e adesso stabilisce anche il menu e i tabù. Se l’Ue non blocca questa scorreria piratesca del Nord, Italia Francia e Spagna sono prontissime a brandire le spade della guerra commerciale. Utile a tutelare il fatturato, ma legittima difesa della propria essenza.

Il vino storicamente e simbolicamente coincide con la civiltà che ci viene dalla tradizione cristiana. Il termine «civiltà» infastidisce, ha qualcosa di monumentale e retorico. Innaffiarla di vino aiuta a farla scendere dal cavallo delle parole di marmo, e comunica l’idea di un gusto della vita, di una convivialità che attraversa i sentimenti profondi dei popoli biblici e latini; è la linfa che sgorgata biblicamente dalle pendici dell’Ararat, ha irrorato le opere e i giorni del popolo ebraico, indi di quello greco e romano, ed infine fornendo nei vigneti profumati vicino ai monasteri benedettini di tutta Europa. È vero che i monaci conservarono i classici, ricopiando e le pergamene, ma raccolsero e svilupparono l’arte della viticoltura. Il vino sulla tavola è l’equivalente delle croci visibili in cima ai campanili e nelle campagne d'Europa.

Puoi essere astemio, ritenerti ateo, ma questi elementi sono come le campane per Oriana Fallaci. Sono la patria, il suono dei padri e dei figli. Poche storie, è così. Il vino, con la sua prima ebbrezza, fu inventato e apprezzato da Noè. Questa meraviglia accadde – lo documenta l’archeologia – proprio in Caucaso, sulle falde del monte Ararat (oggi nei confini della Turchia), dove si posò l’Arca e si svilupparono i vitigni. La Georgia rivendica la primogenitura, in contesa con gli armeni che da secoli ne ottengono un brandy che è meglio del Cognac, e ha proprio il nome di Ararat. Amatissimo da Winston Churchill che lo riteneva elisir di giovinezza insieme ai sigari Havana.

 

 

 

L’ESEMPIO ARMENO

Gli armeni – il primo popolo cristiano della storia, convertitosi al vangelo dal 303 – furono invasi da mongoli, persiani, turchi, orde di ogni genere. Usando forza e intelligenza, ingenuità e astuzia, preservarono il vino e la fede, non necessariamente in quest’ordine, ma di sicuro insieme. Uno dei primi atti degli invasori islamici, quando nell’autunno del 2020, si presero l’80 per cento del Nagorno-Karabakh (si traduce: il Bosco della Montagna Nera, in armeno Artsakh) fu di distruggere la culla preziosa del vino atavico, prodotto avendo ridato salute ai vitigni primigeni, nella provincia di Hadrut, vicino all’antico monastero Katarovan. I soldati dell'Azerbaijan, coadiuvati da turchi e da mercenari jihadisti, hanno sfasciato botti, rovesciato i tini, divelto i vitigni. Bisognerebbe dare a costoro la cittadinanza onoraria dell’Unione europea. Se la sono meritata, non è vero? 

 

 

 

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