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La Ue ha taroccato i dati sull'inflazione? Il sospetto: "ammazzati" per niente

Michele Zaccardi
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Il famoso pivot della Fed, ovvero il cambio di rotta della politica monetaria, può aspettare. Alla luce di un mercato del lavoro che scoppia di salute, con la disoccupazione al 3,4%, il minimo dal ’69, e di un’inflazione che si sta rivelando più vischiosa del previsto, il governatore della banca centrale Usa, Jerome Powell, durante un’audizione alla Commissione bancaria del Senato, è stato netto: se i prossimi dati giustificheranno «un inasprimento più rapido, saremo pronti ad accelerare il ritmo dei rialzi dei tassi». Parole che si sono rivelate una doccia gelata per i mercati, con tutti gli indici di Wall Street che hanno repentinamente virato in negativo, seguiti a ruota dalle Borse europee, con Milano che ha chiuso a -0,67%.

 

 

 

Le dichiarazioni del numero uno della Fed, infatti, sembrano aprire la porta a un maxi rialzo da 50 punti base durante il vertice del 21 e 22 marzo, contro un aumento atteso da 25 punti, in linea con quello di febbraio, quando la forchetta dei tassi si è collocata al 4,5-4,75%. «La strada per riportare l'inflazione al 2% sarà lunga» e «accidentata», ha detto Powell, anche perché «gli ultimi dati economici sono risultati più robusti del previsto». Per questo, ha aggiunto, «il livello finale dei tassi di interesse sarà probabilmente più alto di quanto previsto», ovvero quel 5,1% ipotizzato da diversi esponenti della Fed. Il picco è previsto ora al 5,61% a settembre.

L’indice dei prezzi Pce, la misura più seguita dalla banca centrale Usa per orientare le sue decisioni, a gennaio ha segnato infatti un inaspettato aumento dello 0,6% su dicembre e del 5,4% su base annua, spiazzando previsioni per un dato intorno al 5%. «Continueremo a prendere le nostre decisioni riunione per riunione» ha spiegato Powell. La retorica aggressiva di Powell potrebbe influenzare anche la Bce che il 16 marzo comunicherà le sue decisioni sui tassi. Se ormai un rialzo da 50 punti viene dato per scontato, la stessa presidente Christine Lagarde ha detto che è «molto, molto probabile», al momento l’interrogativo verte sull’atteggiamento che Francoforte terrà in futuro. È vero che a febbraio l’inflazione ha rallentato dall’8,6% di gennaio all’8,5%, ma quella di fondo, al netto di alimentari ed energia, è stimata in risalita dal 5,3 al 5,6%. Un numero che ha dato l’abbrivio ai “falchi” per insistere su una stretta molto più vigorosa.

 

 

 

Il primo a farsi avanti è stato il governatore della Banca centrale austriaca e membro del board Bce, Robert Holzmann, che ha auspicato rialzi da 50 punti base in ognuna delle quattro riunioni che si terranno da qui a luglio. Mentre il capo economista della Bce, Philip Lane, anche lui componente del comitato esecutivo, ha detto che «le informazioni attuali sulle pressioni inflattive suggeriscono che sarà appropriato aumentare i tassi anche dopo marzo». Pressioni che, però, potrebbero risultare sovrastimate. Come riportato da MF, a novembre l’istituto di statistica olandese ha comunicato che i suoi numeri sull’inflazione sono stati artificialmente gonfiati da una metodologia molto diffusa nell’Ue. A partire da giugno, i criteri di calcolo saranno rivisti. Se lo stesso problema si verifica anche in altri Paesi potremmo scoprire che la Lagarde combatte un’inflazione certificata da dati taroccati. 

 

 

 

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