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Meloni, l'incontro col serbo Vucic: il piano per una nuova Ue

Pietro Senaldi
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Passare da un’Europa balcanizzata a dei Balcani melonizzati. Di ritorno dal vertice sul clima a Dubai, che ha visto il fallimento delle tesi ultra -ambientaliste e la rivincita dei fautori del nucleare, il presidente del Consiglio italiano ieri ha fatto tappa a Belgrado, per incontrare il suo omologo serbo, Alexsandar Vucic. «L’Europa non potrà dirsi unita finché i Balcani occidentali non saranno nella Ue. Sosteniamo con forza l’ingresso della Serbia, nostro importante partner economico, nell’Unione» ha dichiarato Giorgia Meloni in conferenza stampa.

Naturalmente per l’Italia Belgrado riveste un interesse strategico per tante ragioni, che vanno dal controllo della rotta dell’Est dell’immigrazione clandestina al consolidamento di relazioni commerciali già fittissime, al monitoraggio di un’area delicatissima, quella del Kosovo, che tutti gli esperti individuano come una dei possibili prossimi fronti bellici dell’Europa. La visita rientra nel quadro operativo di Palazzo Chigi, che prevede per i Balcani una sorta di riproposizione del cosiddetto piano Mattei per l’Africa, ovverosia il consolidamento di rapporti bilaterali con i Paesi dell’area nell’ottica di una strategia d’insieme condivisa nella quale l’Italia avrebbe il ruolo di mazziere ed elemento equilibratore. A questo proposito, risalta la capacità di Giorgia Meloni di intrattenere eccellenti rapporti con tutti i soggetti in realtà internazionali di grande tensione, dalle monarchie arabe a Israele, da Tirana a Belgrado, da Tunisi al Cairo.

MUSICA CAMBIATA
Nell’ultimo anno, grazie al governo di centrodestra, l’approccio italiano alla politica estera è cambiato radicalmente, in particolare in campo europeo. La visione degli esecutivi progressisti e giallorossi ha sempre concepito l’Unione Europea come un club del quale fanno parte soci di serie A, con la tessera d’oro, e nazioni secondarie, per non dire subalterne, ridotte al ruolo di vassallaggio o alla funzione di portatrici d’acqua. L’Italia, secondo il Pd e soci, benché nazione fondatrice, doveva meritarsi l’ingresso nell’élite continentale e il solo modo era seguire pedissequamente le indicazioni di Francia e Germania, le sorellastre maggiori, anche quando queste palesemente muovevano contro i nostri interessi. Da una parte i buoni, gli eletti, ai quali era consentito tutto, compreso far speculare le proprie banche sulle disavventure degli altri Stati e poi farle salvare dai medesimi se sbagliavano strategia e si riducevano sull’orlo del fallimento; dall’altra parte i cattivi, dall’Ungheria alla Polonia, ma prima la Grecia e il Portogallo; e ovviamente l’Italia.

 

 

L’approccio della Meloni è ben diverso, e non a caso la premier parla di riunificazione dell’Europa e non di allargamento, partendo dall’evidenza che essere europei è una evidenza geopolitica e non un dato contabile e che su questa realtà si costruiscono rapporti che garantiscono la sovranità, la parità e gli interessi di tutti, allo stesso modo. È possibile che qualche critico del governo si sforzi di interpretare il viaggio a Belgrado del premier come un’attenzione a un Paese ultranazionalista, tutt’altro che atlantista e spiritualmente vicino alla Russia di Putin e pertanto ricami trame improbabili. La realtà è che la Meloni è oggi il premier europeo più attrezzato per tenere la Serbia attaccata all’Occidente e per aiutare il processo di stemperamento delle tensioni in un’area che è da oltre mille anni la frontiera tra mondo cristiano e mondo musulmano, ovverosia tra Europa e islam. 

 

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