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Riciclo degli imballaggi, l'Europa ha voluto punire l'Italia

Ursula von der Leyen

Attilio Barbieri
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La marcia indietro del Consiglio Ue sul Regolamento imballaggi ha spiazzato tutti. I ministri dell’ambiente dei Ventisette, con l’unica eccezione del nostro Gilberto Pichetto Fratin, hanno azzerato il lavoro dell’Europarlamento che aveva emendato la proposta della Commissione. La sensazione è che si sia voluto punire il Paese più avanti nel riciclo degli imballaggi di plastica e di cartone e nelle bioplastiche biodegradabili. «È più di una sensazione», conferma a Libero Luigi Scordamaglia, numero uno di Filiera Italia, organismo che raggruppa le eccellenze agricole e industriali del made in Italy a tavola, «sul packaging la discussione si è svolta senza tener conto minimamente di alcun elemento concreto, sia esso ambientale o socioeconomico. Si è semplicemente anticipata su un tavolo diverso l’ostilità tedesca divenuta evidente sul Patto di stabilità».

Alla fine, in questo caso come in molti altri, Bruxelles ha deciso secondo una logica che prescinde l’utilità dei provvedimenti assunti. Il Consiglio della Ue si è limitato a riaffermare la centralità del riuso rispetto al riciclo degli imballaggi, senza prendere minimamente in considerazione le evidenze scientifiche in materia. Ad esempio, racconta Scordamaglia,«nella proposta della Commissione non vi è alcuna traccia di benefici ambientali a favore del packaging riutilizzabile. Al contrario le valutazioni di importanti studi scientifici presentati a livello europeo da un consulente autorevole e imparziale come la danese Ramboll, hanno evidenziato gli effetti negativi sul piano ambientale legati all’impiego massiccio dei packaging riutilizzabili. Evidenze scientifiche capaci di dimostrare in maniera inequivocabile che gli imballaggiriutilizzabili sono più impattanti del packaging monouso perché comportano un aumento di circa il 180% di emissioni di anidride carbonica rispetto agli imballaggimonouso in carta e circa il 240% in più di consumo d’acqua». Già questi numeri basterebbero a far pendere la bilancia a favore del modello italiano. Ma il Consiglio e prima ancora la Commissione europea, hanno deciso in base al principio «nessuna apertura all’Italia». Lo stesso che ha guidato la trattativa sul Patto di stabilità.

 

La posizione del nostro Paese dev’essere messa in dubbio e confutata, anche contro ogni evidenza scientifica o economica. Edè «accaduto proprio questo nel corso della discussione al Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti composto dai capi delegazione degli Stati membri presso l’Unione europea», racconta sempre il numero uno di Filiera Italia, «dove è andata in scena l’ostilità tedesca e spagnola (Madrid aveva la presidenza di turno dell’Unione, ndr) nei nostri confronti. Ma non ci diamo per vinti. È necessario fermare questa scelta perché provocherebbe effetti pesantemente negativi sulle filiere produttive nazionali e sui consumatori, aumenterebbe l’inquinamento e mette in discussione il riciclo dove l’Italia è leader in Europa».

 

A questo punto la parola passa al trilogo fra le tre istituzioni europee, Commissione, Consiglio e Parlamento che ha comunque il compito di trovare una posizione comune. Il passaggio sarà decisivo perché da questo confronto uscirà il nuovo regolamento sugli imballaggi. «Alla ripresa dei lavori, dopo lo stop per le festività di fine anno, rinnoveremo l’appello che abbiamo già formulato come filiera agroalimentare insieme alle altre organizzazioni del settore ed ai sindacati», conclude Scordamaglia, «ci rivolgeremo alla presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola. E chiederemo che la relatrice del provvedimento, la belga Frédérique Ries di Renew Europe rappresenti fedelmente la posizione assunta in plenaria. La posta in gioco è troppo importante per cedere a personalismi o ideologie. Dalla Commissione, orfana dell’ex vicepresidente Timmermans, invece, ci aspettiamo che si limiti a svolgere il compito di notaio del confronto e non si schieri per l’una o per l’altra posizione». 

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