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Mario Draghi e la tentazione in Europa di fare a meno del popolo

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 Ieri, nell’editoriale di Libero, Mario Sechi ha molto correttamente posto la questione cruciale a proposito dell’eventuale - più o meno sollecitata - partecipazione di Mario Draghi alla corsa per i principali incarichi nella prossima legislatura Ue: e il demos? E il popolo? E gli elettori? Qui in Italia dovremmo essere particolarmente sensibili e preparati sul punto sin dal 2011, quando, pur nel pieno rispetto formale della Costituzione, il governo Monti prese il posto dell’esecutivo Berlusconi.

Tutto assolutamente legittimo, con il voto delle Camere a certificare la fiducia per il nuovo gabinetto tecnico. Eppure – da allora e per molti anni, inclusa un’esperienza di governo dello stesso Mario Draghi, fino alla vittoria di Giorgia Meloni nel settembre 2022 – si consolidò come prassi un’operazione volta a separare progressivamente il kratos, cioè l’esercizio del potere, dalla sua necessaria fonte popolare, cioè il demos. Il rischio – non nascondiamocelo – è che, dopo l’esperimento di una surroga commissariale di questo tipo in Italia, qualcuno immagini di poterla realizzare pure a livello europeo, bypassando in un colpo solo elettori -partiti -governi. Con il rispetto che si deve a una figura di massimo rilievo come l’ex presidente della Bce, si tratta di un metodo che presenta notevoli criticità. Come si fa a non tenere presente che i cittadini di 27 Paesi europei stanno per essere chiamati alle urne il prossimo 8-9 giugno?

 

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