Il premier ora rischia l'effetto Fini

di Maurizio Belpietrodomenica 15 giugno 2014
Il premier ora rischia l'effetto Fini
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Matteo Renzi alla fine si è rivelato più comunista dei comunisti. Rimuovendo dalla commissione Affari costituzionali del Senato Corradino Mineo e Vannino Chiti, il presidente del Consiglio ha usato contro due esponenti della sinistra del partito il principio di ogni organizzazione leninista. Ovvero: si può discutere di tutto, ma poi ci si conta e una volta presa la decisione, la minoranza si deve subordinare alla maggioranza. Del resto la dottrina del centralismo democratico era nel dna del Pci e dunque in qualche modo è stata trasmessa al Pd, che del glorioso partito comunista è l’erede. La libertà di discussione alla fine dunque si deve trasformare in unità di azione, proprio come sosteneva Lenin. Perciò, senza fare troppi complimenti, mercoledì Renzi ha rimosso i ribelli Mineo e Chiti, colpevoli di non accettare la riforma del Senato così come proposta dal ministro Boschi. Una epurazione in piena regola che dimostra come, dopo il successo elettorale delle Europee, il premier non abbia intenzione di andare troppo per il sottile con la minoranza interna e per raggiungere i risultati sia disposto a usare anche le maniere forti. Però forse, distratto dal viaggio in estremo Oriente, il presidente del Consiglio non ha valutato a pieno gli effetti che il brusco defenestramento avrebbe provocato nel suo gruppo parlamentare. Già in ebollizione per essere spesso tagliati fuori da ogni decisione, senatori e deputati hanno preso la palla al balzo per rigettarla nel campo di Renzi. Così ieri altri tredici senatori del Pd si sono schierati con Mineo e Chiti: fra loro anche il presidente della commissione Industria Massimo Mucchetti, uno abituato a far le pulci ai bilanci.  Continua a leggere l'editoriale di Maurizio Belpietro sull'edizione digitale