Quanto può durare? No, dico, fino a che punto potrà andare avanti il giochetto con cui Matteo Renzi fa il segretario del maggior partito di governo senza però sporcarsi le mani con il governo? Il sindaco di Firenze ha vinto le primarie l’8 dicembre e due giorni dopo all’alba ha convocato la sua prima segreteria. È vero, di mezzo ci sono state le vacanze di Natale e dunque sono trascorsi giorni preziosi, anzi settimane. Ora però abbiamo superato anche la metà di gennaio. Forse si potrà arrivare alla fine del mese e tirarla ancora un po’ in lungo con la riforma elettorale e il Job Act e qualche altra invenzione. Ma prima o poi il nuovo leader del Pd dovrà chiarirsi con se stesso, anzi con chi lo ha votato e che con quelli che gli manifestano il loro consenso. Ha intenzione di passare tutto l’anno a dire che il governo deve darsi una mossa? Vuole cioè stare alla finestra per i prossimi undici mesi in attesa di capire quel che succede oppure pensa di dare prova di contare qualcosa e soprattutto di cambiare qualcosa? Oh, immagino che Renzi dirà che facendo il partito di lotta anziché di governo ha indotto Fabrizio Saccomanni a rinunciare al prelievo forzoso sulle buste paga degli insegnanti. Facile da dirsi, ma difficile da dimostrarsi, perché il sindaco sa bene che il dietrofront non è farina del suo sacco. La restituzione degli scatti era talmente stupida e soprattutto a rischio di dover essere rimborsata, che alla fine - anche per non scontentare i molti docenti che votano a sinistra - lo stop era inevitabile. Non a caso prima che Renzi dicesse la sua, a Palazzo Chigi erano già intenzionati a bloccare tutto. Del resto, è lo stesso segretario che, per non veder compromessa la propria immagine di rinnovatore, non si vuole far coinvolgere nelle decisioni di governo e dunque sta alla larga da tutto ciò che è concreto. In tv si limita a dire che vuole tagliare le spese della casta di un miliardo e che vuole dare un sussidio ai disoccupati. Le frasi sono le solite che ripete ormai da giorni, ma in nessuna occasione il sindaco si è prestato a spiegare dove intende affondare il bisturi per risparmiare sulle spese del Palazzo, né dove troverà i fondi necessari a finanziare l’indennità da pagare a chi ha perso il lavoro. Nessuna chiarezza neppure per quanto riguarda il taglio della bolletta elettrica, altra misura propagandata in tv. Maria Elena Boschi a Porta a Porta ha spiegato che lo sconto - pari al dieci per cento - sarà a carico delle società distributrici, mentre ieri la governatrice del Friuli Debora Serracchiani a Ballarò ha corretto il tiro, sostenendo che il taglio del 6-7 per cento del costo dell’energia dovrà essere pagato dalla società che gestisce la rete. Nell’uno e nell’altro caso è nebbia fitta, perché neppure azzerando l’utile delle società del settore si reperirebbero i 4,5 miliardi necessari a finanziare la misura proposta dal neo segretario Pd. Dunque quando si arriva al dunque? Quando cioè Matteo Renzi spiegherà davvero che cosa ha intenzione di fare e deciderà di rimboccarsi le maniche assumendosi le responsabilità che la più importante forza politica del paese dovrebbe assumersi? Ad oggi il sindaco rottamatore ha giocato la sua partita contro la burocrazia del suo partito, facendosi interprete della voglia di cambiamento che pervade l’intero corpo elettorale. Non a caso ha conquistato consensi a destra e a sinistra, fra professionisti, operai e anche imprenditori. Ma adesso oltre che parlare è venuto il momento di fare, la faccenda si fa spinosa. Renzi non vuole mettere mano al rimpasto, che pure sarebbe necessario se avesse intenzione di far valere il proprio ruolo. Assumersi la paternità di questo o quel ministro significa in qualche modo caricarsi in groppa anche il governo, dalle cui decisioni in seguito sarebbe più difficile dissociarsi, scaricando ogni responsabilità su Letta. Per questo il neo segretario rinvia e per la stessa ragione rinuncia a dettare l’agenda a Palazzo Chigi, come in fondo da maggior azionista dell’esecutivo dovrebbe fare. Paradossalmente, il cinismo con cui il sindaco se ne lava le mani, cioè il gioco a scaricabarile su un consiglio dei ministri che è guidato da un esponente del Pd, rischia di rivelarsi un boomerang, perché a lungo andare separare le sue sorti politiche da quelle di Palazzo Chigi sarà sempre più difficile. Avendo ricevuto un mandato quasi plebiscitario, la strategia del temporeggiamento in attesa di elezioni che potrebbero non arrivare mai (anche Berlusconi comincia a chiedersi se gli conviene votare in primavera oppure se non sia meglio attendere il prossimo anno) a lungo andare diventa un pericolo. Per Renzi, che non può certo attendere in eterno di conquistare la poltrona di Letta, e per il paese, che di sicuro non può nutrirsi solo di promesse. Le battute, i patti annunciati e i tagli ipotizzati non riempiono la pancia di chi ha perso lo stipendio e ne cerca uno nuovo. Soprattutto non fanno un leader. di Maurizio Belpietro