«Preparatevi, la sesta sta arrivando». Non c’è stato nemmeno il tempo di cambiarla, quella scritta, che ancora oggi troneggia sul pullman dei giocatori brasiliani. Quella parolina, «hexa», che suona come un beffardo epitaffio, così dannatamente sbagliata. Come tutto il resto. L’aereo della Seleçao atterra a Brasilia e non a Rio, direzione Maracana. L’avversario è l’Olanda, e non l’Argentina. I tifosi accorsi all’ultimo allenamento non erano più di dieci, sparite le frotte festanti e adoranti di qualche giorno fa. La finalina del terzo posto evidenzia le sensazioni di sconforto e smarrimento: chi ha più voglia di giocare, adesso. Persino la pioggia, con la temperatura vicina ai dieci gradi, contribuisce a quell’ondata di malinconia, a quell’idea che di sbagliato c’è proprio tutto. E forse c’è anche qualcosa di inutile. La finalina con l’Olanda, per esempio. Van Gaal lo dice apertamente: non vuole giocarla, questa partita, «è persino ingiusta: c’è la possibilità di uscire sconfitti per due volte di fila, e se succedesse torneremmo a casa con appiccicata l’immagine di perdenti». L’impressione è che tutto il gruppo oranje non abbia più voglia di saperne, di questo Mondiale. Un gruppo solido e coeso che, proprio in dirittura d’arrivo, si è sfaldato. Un esempio? I rigori contro l’Argentina. Van Gaal chiama a rapporto i suoi fedelissimi, qualcuno si sfila: non se la sente di calciare. Sul dischetto, per primo, ci va Vlaar, piedi da difensore d’altri tempi: la conclusione è strozzata e Romero la intercetta. E pazienza se in rete è diventato virale il video che testimonia come il pallone, dopo la respinta del portiere argentino, si fermi proprio sulla linea di porta. Persino Van Gaal, impaziente di volare a Manchester, non è esente da colpe. È stato lui a insistere sull’impiego di Van Persie contro l’Argentina, nonostante l’attaccante accusasse problemi intestinali, tanto da costringerlo a svolgere a parte l’ultimo allenamento prima della semifinale. I senatori della squadra avevano fatto pressioni sul tecnico affinché fosse Huntelaar a prendere il suo posto, inutilmente: l’ex Milan è comunque entrato al posto della punta del Manchester United a partita in corso, bruciando il terzo cambio. E Krul è rimasto in panchina mentre il suo collega Cillesen agonizzava tra i pali. Inezie di fronte a un Paese, il Brasile, sotto shock. A nessuno interessa della partita contro l’Olanda: impossibile pensarci, quando c’è lo spettro del nemico argentino che festeggia in casa. Perciò, al diavolo la Seleçao, sentimento che in altri tempi sarebbe stato un sacrilegio assoluto, mentre oggi viene persino incoraggiato in una nazione attonita, mai così distante dai propri beniamini. E i giocatori temono il riflesso del malcontento della gente anche oggi a Brasilia, teatro della gara, dopo gli episodi di questi giorni. Scontri e incidenti hanno fatto da sfondo al post gara contro la Germania, ma nemmeno il tempo ha sanato le ferite: alcuni tifosi hanno bruciato le maglie, altri hanno appeso uno striscione con la scritta «vergogna» nel ritiro della squadra. Il merchandising verdeoro è venduto a pochissimi reais, ma nessuno lo compra. Rimane lì, accatastato, macerie tangibili di un sogno conclusosi troppo presto. Come quello di Neymar, che ha raggiunto la squadra e in conferenza stampa è tornato a piangere, perché quel fallo di Zuniga poteva costargli la paralisi, se la ferita fosse stata due centimetri più interna. Quelle lacrime sono l’epilogo del Mondiale verdeoro. Il resto è fatto solo di sbagli. di Francesco P. Giordano