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Baby gang e social: la generazione che confonde la realtà con lo schermo

giovedì 18 dicembre 2025
Baby gang e social: la generazione che confonde la realtà con lo schermo

4' di lettura

Il 5 dicembre 2020, nel cuore di Roma, in piazza del Pincio, un sabato pomeriggio come tanti altri si trasformò in un’immensa sfida tra giovani, che si erano dati appuntamento sui social e in chat per suonarsele di santa ragione. Il tutto, senza un apparente motivo. 

Partendo dalla maxi rissa che coinvolse una sessantina di ragazzi – quasi tutti minorenni – il programma *Psiche Criminale*, in onda sul canale 122 *Fatti di Nera*, ha approfondito le tematiche dei minori sul web. Da Telegram, Instagram e WhatsApp era partito l’insolito appuntamento per gli adolescenti che si affrontarono (e soprattutto si filmarono) al Pincio. 

Le immagini circolate in rete mostrano la violenza, le sfide e un fenomeno che preoccupa: quello delle baby gang. Intorno alle 18, un flusso di ragazzi, con cappucci e tute, rigorosamente con telefoni in mano, raggiunse la scalinata del Pincio. Non un semplice incontro tra amici, ma una chiamata nata sui social per mettere in atto una vera e propria rissa programmata. 

Ragazzi che si spintonano, urla, qualcuno filma tutto con il cellulare e in pochi minuti la situazione degenera. L’intervento dei carabinieri portò a bloccare parte di quei 60 adolescenti: 36 giovani, la maggior parte minorenni, furono identificati. Nessun ferito grave, ma tanta paura tra i passanti. 

Sembrava una scena da film, sulla quale gli investigatori hanno svolto indagini, ricostruendo quella sorta di evento sociale parallelo, organizzato dal nulla con un linguaggio e regole proprie. Un fenomeno che riaccende l’allarme di istituzioni e sociologi: la violenza giovanile amplificata dai social network come strumento di riconoscimento e appartenenza. 

I ragazzi non cercano solo lo scontro: cercano visibilità, e i social offrono loro un palcoscenico senza filtri. L’adrenalina della violenza diventa una prova di identità. 

Le indagini si sono concentrate sull’identificazione dei promotori della rissa e sulla ricostruzione della catena digitale che ha portato all’appuntamento. Ma l’allarme delle forze dell’ordine richiama alla collaborazione con scuole e famiglie: serve educazione digitale, non basta punire. Bisogna spiegare come funziona il web e le conseguenze reali di ogni gesto, anche online. 

Il volto più inquietante della nuova devianza giovanile è rappresentato dalla violenza che nasce sullo schermo, ma esplode nelle nostre strade. A distanza di cinque anni da quei fatti, resta una domanda: come può il mondo adulto intercettare, prima che sia troppo tardi, la rabbia digitale dei più giovani? 

“Rabbia digitale è una definizione adattissima a questi tempi – ha detto l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace –. I crimini digitali, dal furto allo stupro fino allo stalking, fanno parte di questa rabbia. Anziché avere a che fare con le persone, abbiamo a che fare con qualcosa di rigido che possiamo muovere, animare. Autorevolezza e autorità devono far parte della figura genitoriale, invece i giovani d’oggi vedono i genitori un po’ come spacciatori di piacere.” 

Per Francesco Pira, professore di Sociologia all’Università di Messina, bisogna “chiamare le cose con il loro nome. La rabbia digitale viene stimolata perché attraverso i social si cerca solo di arrivare alla pancia delle persone. In questo momento di analfabetismo affettivo, noi andiamo a cercare l’emotivismo, a tirare fuori il peggio che c’è, e i social network ci riescono benissimo. La messaggeria veloce è uno degli strumenti: tutte queste chiamate alle armi arrivano da lì, in particolare da Telegram, che diffonde contenuti opinabili.” 

“Gli estremi danno la misura – ha sottolineato l’avvocato Luca Volpe –: dagli psicologi prima entravano i figli che avevano genitori troppo severi, oggi i genitori sono troppo permissivi e vogliono solo essere troppo amati dai propri figli. Invece, un bambino che ha le regole sperimenta la frustrazione che riuscirà a gestire in futuro, quando avrà impulsi disfunzionali. Attualmente la politica è ossessionata dall’economia: si deve investire nelle future generazioni, non sulla prossima campagna elettorale.”  

William Nonnis, esperto Blockchain presso il Consiglio dei Ministri, ha spiegato come oggi si stia “lavorando per provare a trovare un compromesso a livello europeo; questa è la direzione da prendere, come con l’intelligenza artificiale. Nel momento in cui un politico dice cose distorte, che non rappresentano la realtà degli algoritmi e di come vengono utilizzati, si crea la rabbia digitale e una realtà distorta: così il messaggio non viene trasmesso in maniera educativa ai giovani. 

Il nodo cruciale non è combattere le big tech, ma cercare un compromesso con loro. Partendo dal presupposto che hanno denaro fresco, non è detto che le loro regole vadano applicate obbligatoriamente ai singoli Stati, ma è un dato di fatto che gli Stati si devono adeguare ad applicativi e piattaforme, facendo capire le regole agli utenti. Oggi viviamo in una tecnocrazia: gli Stati devono trovare un compromesso, altrimenti le big tech governeranno il mondo per i prossimi cinquant’anni.” 

“Una dittatura – ha commentato Tiziana Ciavardini, direttore del canale 122 *Fatti di Nera* –. Siamo tutti succubi dell’elettronica. Già negli anni ’90, con i primi telefonini e computer, abbiamo cominciato a capirlo. Senza questi apparati oggi siamo persi. Mi rendo conto di cosa significhi oggi essere dipendenti da questa tecno-teocrazia. 

Sul discorso della globalizzazione e dello scontro di civiltà, la globalizzazione è stata fittizia. Se noi parliamo con questo linguaggio, ci sono persone che non seguono lo stesso linguaggio e non capiscono cosa diciamo.” 

Per il professor Carlo Taormina, ordinario di Procedura penale all’Università di Tor Vergata, “contiamo poco con le legislazioni statali, non quanto contano le big tech. Lì non sappiamo intervenire, non abbiamo capacità di incidere. Siamo allo sbando. Il web ci inonda e porta a conseguenze come quella rissa a Roma. Mi dispiace tutto questo: tutto ciò di buono che si poteva muovere sul web è stato travolto dal peggio. Quei ragazzi hanno manifestato la loro rabbia di non essere seguiti. Oggi le big tech non possono essere soppiantate, ma il compromesso non deve essere al ribasso.”