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Piero Amara, non soltanto l'avvocato: Ilva, coinvolti anche tre ex giudici

Paolo Ferrari
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Un’indagine a “scoppio ritardato”: il pm romano Stefano Rocco Fava aveva scoperto gli altarini di Pietro Amara, balzato recentemente alle cronache per le rivelazioni sulla loggia segreta “Ungheria”, già nel 2018. Quando chiese però di arrestarlo, per tutta risposta, i suoi capi gli tolsero il fascicolo. L’arresto di Amara ieri mattina da parte della Procura di Potenza non ha sorpreso, dunque, chi conosceva il modus operandi dell'avvocato siciliano: cercare di "agganciare" un magistrato per poi ottenere da quest' ultimo favori ed utilità di vario genere nell'ambito dei procedimenti di cui era assegnatario.

Un "Sistema" molto ben rodato e che ha interessato negli ultimi anni diverse Procure italiane, la prima era stata quella di Siracusa, e soprattutto il Consiglio di Stato. Ma iniziamo dalla fine. Dagli arresti di ieri mattina. L'indagine, condotta direttamente dal procuratore di Potenza Francesco Curcio con l'ausilio della guardia di finanza, ha portato all'arresto, oltre che di Amara, del poliziotto Filippo Paradiso, dell'avvocato Giacomo Ragno e del consulente di Ilva Nicola Nicoletti. Obbligo di dimora per l'ex procuratore di Trani e Taranto Carlo Maria Capristo.

Altre quattro persone risultano indagate, fra loro gli ex magistrati Antonio Savasta e Michele Nardi, in passato coinvolti in altre vicende giudiziarie. I reati contestati vanno dalla corruzione in atti giudiziari, al favoreggiamento, all'abuso d'ufficio. Amara, per accreditarsi presso l'Ilva come avvocato che risolve i problemi, aveva stabilito un rapporto privilegiato con il procuratore Capristo. Nel 2016, in seguito ad un incidente all'interno dello stabilimento siderurgico che causò la morte di un operaio, Capristo su indicazioni di Amara, dopo aver nominato un consulente tecnico di fiducia, «sollecitava i suoi sostituti a provvedere con massima sollecitudine al dissequestro dell'Altoforno 4, poi avvenuto in 48 ore». Un record.

 

 

 

 

 

Capristo, poi, «manifestava apertamente, all'esterno e all'interno del suo ufficio la sua posizione dialogante» con Nicoletti, consulente dei commissari Ilva, accreditando così lo stesso Nicoletti e Amara «come elementi indispensabili» per la gestione dei rapporti con la magistratura. Da parte di Capristo c'era, inoltre, una «benevola predisposizione ad assecondare e considerare le esigenze della struttura commissariale», determinando «un complessivo riposizionamento del suo ufficio rispetto alle pregresse, più rigorose strategie processuali e investigative manifestate dalla Procura diretta dal suo predecessore».

Amara per ottenere questo trattamento di favore aveva "sponsorizzato" la nomina di Capristo al Consiglio superiore della magistratura. Ed in questa partita entra in campo Paradiso, un intraprendente poliziotto distaccato alla presidenza del Consiglio che millantava conoscenze altolocate in grado di condizionare le nomine a Palazzo dei Marescialli. Questi i fatti di ieri. Torniamo ora al 2018 quando Fava, all'epoca in servizio presso il dipartimento reati contro la Pubblica amministrazione della Procura di Roma, si imbatte in Amara.

 

 

 

 

 

L'avvocato siciliano era stato arrestato agli inizi di febbraio di quell'anno in una operazione congiunta delle Procure di Messina e Roma ed era tornato dopo poco in libertà a seguito di una collaborazione con i magistrati. Fava non crede che Amara stia dicendo tutto ciò di cui è a conoscenza e decide di chiedere nuovamente il suo arresto per alcune corruzioni, evidenziando che stava trasferendo le sedi legali delle sue società nel circondario di Taranto e risultava in rapporti proprio con Capristo.

Fava, che aveva le idee chiare, mette nel mirino anche Enrico Laghi, all'epoca nel collegio sindacale di Acea, la municipalizzata della Capitale, commissario di Ilva. I capi, come detto, negano l'arresto. Sulla vicenda Capristo, in particolare, scrive il procuratore aggiunto Paolo Ielo, «sta lavorando Messina e non mi sembrano spendibili tali argomenti in una richiesta di custodia cautelare». Argomenti che saranno, come visto, spendibili da Potenza. Fava decide allora di presentare un esposto al Csm, evidenziando i legami professionali di Amara con i fratelli del procuratore Giuseppe Pignatone e dello stesso Ielo, entrambi avvocati.

Amara risulterà essere assistito dall'avvocato Salvino Mondello in rapporti di amicizia con Ielo, che aveva avanzato sul punto istanza di astensione, rigettata da Pignatone. Il fascicolo a carico di Amara verrà allora tolto a Fava. L'esposto a Palazzo dei Marescialli, per la cronaca, è ancora pendente ed è diventato un boomerang per Fava. Il magistrato è infatti accusato di aver agito per conto di Luca Palamara per screditare Pignatone e Ielo. Il risultato? Fava è indagato con l'accusa di aver fatto dossieraggio nei confronti dei suoi capi ed Amara è stato arrestato con tre anni di ritardo.

 

 

 

 

 

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