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Giustizia, Andrea Pamparana: "Il sistema è marcio", l'ombra del ricatto della magistratura alla politica

Pietro De Leo
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«Alla fine di tutto questo non cambierà nulla». I verbali sulla loggia Ungheria, e prim'ancora i contenuti del libro "Il Sistema", in cui il direttore di Libero Alessandro Sallusti dialoga con Luca Palamara sulle degenerazioni della magistratura, stimolano una lunga chiacchierata con Andrea Pamparana. Giornalista di rango, che annovera nel curriculum la vicedirezione del Tg5, rubriche e libri in quantità. Ma, soprattutto visse e raccontò l'inchiesta di Mani Pulite.

 

 

 

Cosa insegna la cronaca dei verbali sulla presunta Loggia Ungheria?

«È tutto un deja-vu. Un "già visto". Quando leggo di questa cosa, o dei meccanismi ben illustrati nel libro Sallusti-Palamara, mi viene da dire: ci meravigliamo? Ci stupiamo che vengano passati dei verbali a dei giornalisti? La risposta è no. Ma sono cose che in realtà dovrebbero farci paura, il sistema è marcio».

Perché è marcio?

«Per due elementi. Il primo è quello che venne individuato da Giovanni Falcone con il termine "pentitismo". In Italia, purtroppo, non si hail modello del "collaboratore di giustizia" all'americana, che se non racconta le cose vere non ha alcuna protezione e subisce delle conseguenze. Da noi il primo "pentito" che dice qualcosa contro l'avversario politico di turno diventa "la verità". E tutto finisce sui giornali».

Quindi il caso Amara è pentitismo?

«Nello specifico non lo so, ma vedo che l'uscita dei verbali ripercorre quel meccanismo. Quanto sento dire che un magistrato molto importante andato in pensione, che faceva parte del Csm e io personalmente ho sempre stimato, parlo di Davigo ovviamente, si meraviglia che il verbale sia uscito tramite la sua segretaria, vorrei ricordare come uscì la notizia del famoso invito a comparire a Silvio Berlusconi a Napoli, durante un vertice internazionale».

1994. Come uscì?

«Per un giro interno tra giornalisti...».

E Procura?

«Certo! Ma secondo voi davvero possiamo credere che un Procuratore è così ingenuo da consegnare lui al giornalista, magari amico, il verbale? Gli strumenti per fare arrivare i documenti a chi di dovere sono infiniti. E' il perverso gioco dell'informazione che si è "appecoronata" al potere della magistratura».

Il secondo elemento, invece?

«La mancanza di quel che l'avvocato Giuseppe Frigo, illustre, poi diventato componente della Consulta, definì "un atto di civiltà", ossia la separazione delle carriere».

 

 

 

In che modo questa potrebbe interrompere il coagulo mediatico-giudiziario?

«Perché avresti due comparti precisi, tra magistratura giudicante e magistratura inquirente, e perfetta simmetria tra accusa e difesa, con il giudice a vigilare al di sopra delle parti. Attualmente, questo non avviene, e anche nell'eventualità in cui il pm dovesse chiedere l'assoluzione per l'imputato, quest' ultimo nel frattempo è già stato sputtanato a livello mediatico».

La separazione delle carriere è uno degli elementi dei referendum di Lega e Radicali. Questo, assieme a quanto uscito sulla Loggia Ungheria e le rivelazioni di Palamara, portano ad un'accresciuta sensibilità collettiva sul tema. Ci sarà la spinta per una complessiva riforma?

«No».

Perché?

«Quanti referendum abbiamo fatto che poi non sono stati applicati? Accadrà anche questa volta. Alla fine ci sarà qualche piccola modifica della normativa che renderà vano quel referendum».

Eppure dovrebbe essere anche interesse della politica recuperare il suo primato.

«Certo, sempre però che la politica non sia al servizio o sotto ricatto della magistratura. Ricordo che c'è più volte stata occasione per farla, la riforma. I governi Berlusconi avevano un forte mandato popolare».

Neanche allo strapotere delle correnti si metterà mano?

«Può darsi che su quel lato uno scossone ci sia, ma dipenderà dal nuovo presidente della Repubblica. Cossiga, che tutti davano per folle, mandò i carabinieri al Csm, ma sono passati più di trentacinque anni!».

Nel '92 la Procura di Milano era il santuario del moralismo. Oggi abbiamo due protagonisti di allora, Greco e Davigo, l'uno contro l'altro. Che lezione se ne trae?

«Mi ricorda certi duelli del lunedì mattina sul calcio tra due immensi avvocati, Peppino Prisco, interista, e Vittorio Chiusano, che è stato presidente della Juve. Delle boutade».

Tutta scena?

«A parte il fatto che il pool era meno unito di quanto si possa pensare, direi di sì. Per carità, è una cosa anche rilevante, ma finirà in nulla. Tanto, dopo Greco e Davigo, arriverà qualcun altro che sarà incensato dagli aedi del Fatto Quotidiano e continuerà a fare quel che molti magistrati hanno sempre fatto: politica».

 

 

 

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