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Mario Draghi? Attendiamo ancora una parola: quel silenzio sospetto sul referendum giustizia

Mario Draghi

Matteo Mion
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Domenica 12 giugno è una data storica per la Giustizia: gli italiani sono chiamati all'urna referendaria per compiere la rivoluzione liberale della magistratura invocata da anni a furor di popolo, avvocati, imputati e soprattutto innocenti incarcerati. Voterò più si che no, ma non entro nel dettaglio perché non si sa mai che il Copasir apra un'investigazione sui dissidenti del regime delle toghe. Purtroppo manca un quesito sull'olio di gomito, ma, costringere lor signori a nobilitarsi con le miserevoli fatiche che affliggono quotidianamente noi comuni mortali, non è materia sottoponibile a referendum. Siamo accaniti sostenitori della presunzione d'innocenza - perché prevista dalla Costituzione e non per simpatia con i delinquenti - e soprattutto siamo ancora sotto choc per l'assenza di repliche istituzionali allo sconvolgente scritto del direttore Sallusti con il pm Palamara.

 

 

Solo il Capo dello Stato, nonché Presidente del Csm, inorridito quanto noi, rampognò le toghe: «Vanno sradicati accordi e prassi elusive di norme usate per stravolgere la legge elettorale dei togati». Una cortina di silenzio domina il paese anche oggi che il referendum imporrebbe una discussione matura su questioni non più procrastinabili. La sinistra giustizialista del Pd non dà indicazioni perché gli obici stanno più a cuore ai compagni della partecipazione all’unico strumento di democrazia diretta rimasto nelle mani di un popolo che non vanta un premier espressione della sua volontà da anni. Democrazia, popolo, libertà, referendum sono vocaboli ormai in disuso in una politica costretta a sostituire la ragion di stato con la ragion di Pil. Eppure il silenzio di Mario Draghi stride più di tutti e non tanto sulla risposta ai quesiti, ma sul fatto che gli italiani debbano correre all’urna per preservare le prerogative democratiche d’incidere sulle scelte legislative del Parlamento con il loro voto.

 

 

È opportuno che un Primo Ministro taccia su un referendum epocale? Affrontiamo il tema dalla prospettiva finanziaria cara al banchiere di Palazzo Chigi ovvero con un occhio più attento al bilancio che alla Costituzione: qualche anno fa, infatti, il procuratore Nordio ricordò che il malfunzionamento della magistratura costa ogni anno ai connazionali 2 punti di Pil e non ultimo il Pnrr stanzia denari per migliorare il funzionamento dell’italica giustizia. Insomma, caro Presidente, non vogliamo tediarla che il diritto e la legge sono il fondamento universale dell’umana civiltà dal tempo dei Babilonesi, ma saremmo felici di un suo dovuto appello: non andate al mare, ma a votare!

Il raggiungimento del quorum non è una vittoria di questo o quel partito, ma dei connazionali, soprattutto di quelli tenuti dolosamente nell’oblio a furor d’Ucraina. Vinca ilmigliore cioè gli Italiani!

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