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Matteo Salvini, Carola Rackete lo trascina in tribunale? Cosa scappa di bocca alla pm, la difesa insorge

Matteo Salvini

Salvatore Dama
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Altro processo per Matteo Salvini. Quello che lo vede imputato, a Milano, per diffamazione ai danni di Carola Rackete, capitana della Sea Watch. Bene, ma non benissimo. Visto che nell'udienza di ieri la pm ha definito «criminale» la politica dell'ex ministro dell'Interno, scatenando la reazione della difesa del leader della Lega. Ma ripartiamo dai fatti. Estate 2019. La Sea Watch approda a Lampedusa per sbarcare un gruppo di naufraghi forzando il blocco imposto dalle autorità italiane. Salvini, che all'epoca siede al Viminale, attacca Rackete, che è al timone, con un post sui social. La definisce «complice di scafisti e trafficanti». E ancora: «Sbruffoncella, criminale, ricca tedesca fuorilegge, delinquente, ricca e viziata comunista tedesca, zecca tedesca, comandante criminale».

 

 

 

La capitana tedesca si è sentita offesa e denuncia il segretario della Lega, ottenendo l'attenzione dei giudici di Milano. Risultato: altro procedimento giudiziario. Le espressioni usate da Salvini, secondo l'avvocato difensore Claudia Eccher, sono «accese», ma «in linea con il messaggio del governo», all'epoca guidato da Giuseppe Conte, e «tipiche del messaggio social». Carola Rackete in quel periodo era «nomen omen», un simbolo dell'attività di soccorso delle ong nel Mediterraneo che il governo voleva regolamentare. Sicché la difesa ha chiesto al giudice il proscioglimento per Salvini alla luce della norma che prevede l'insindacabilità delle opinioni dei parlamentari. In subordine ha evidenziato l'improcedibilità nei confronti del leader della Lega perché Salvini, con quei post riferiti a Carola Rakete, aveva espresso la linea politica del governo sull'immigrazione e dunque un eventuale reato sarebbe da ritenere un reato ministeriale, commesso nell'esercizio delle sue funzioni: «Salvini, benché non sia più un ministro in carica, può essere sottoposto alla giustizia ordinaria solo dopo previa autorizzazione del Senato della Repubblica».

 

 

 

Istanze a cui si è opposta il pm Giancarla Serafini, che ha definito quelle di Salvini nei confronti di Rackete «parole molto forti e attacchi molto diretti alla persona, che nulla hanno a che vedere con la sua politica criminale di ministro degli Interni». Politica criminale: espressione contestata dalla difesa salviniana («Si tratta di un attacco politico»), poi corretta dalla toga. Il pm Serafini, sia in udienza che fuori dell'aula, ha precisato che l'espressione faceva riferimento alle «politiche di contrasto della criminalità» messe in campo dall'allora ministro dell'Interno. E non conteneva un giudizio. Il pubblico ministero ha però sottolineato che le parole di Salvini hanno innescato «minacce violentissime» sui social mettendo a rischio Rackete. Salvini non c'era, impegnato in campagna elettorale. Ma si dichiara tranquillo: «Non ho timore perché ho fatto semplicemente il mio dovere. Se uno sperona una motovedetta italiana con dei militari a bordo e a processo ci va il ministro, e non chi ha speronato, siamo alla curiosità». 

 

 

 

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