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Niccolò Ghedini, Vittorio Feltri: "Non solo avvocato, vi dico chi era"

 Niccolò Ghedini

Vittorio Feltri
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La notizia del trapasso di Niccolò Ghedini, avvocato di Silvio Berlusconi e senatore, è di ieri. A 62 anni è stato stroncato da una malattia assassina: la leucemia. Giustamente la sua figura di professionista instancabile viene esaltata dai media: personaggi di tale caratura ce ne sono pochi e quando, magari prematuramente, vanno all'altro mondo, vengono ricordati per il loro lavoro al servizio della comunità.
Ma io, che mi vanto di essere stato amico suo, 1 desidero sottolineare un aspetto misconosciuto e intimo del suo carattere poliedrico, al di là dell'abilità con la quale agiva nelle cause riguardanti le grane del Cavaliere, ovvero la grande generosità.

 

Vi narro un unico episodio che vi farà capire la ricchezza umana di Ghedini. Accadde una dozzina di anni orsono. Un figlio ventenne di miei amici fraterni era sprofondato nella trappola della cocaina da cui, nonostante gli sforzi, non riusciva a venire fuori. Ne parlai con Niccolò che cominciò ad occuparsi della pratica e un giorno venne nel mio ufficio per spiegarmi la soluzione da lui architettata per aiutare il ragazzo, soluzione che subito decidemmo di adottare. Quindi ingaggiammo due ex poliziotti molto esperti e li mettemmo alle calcagna del giovanotto. Registrammo i suoi contatti con gli spacciatori ed eventuali clienti allo scopo di verificare quale fosse il suo giro. Raccolte le prove della sua dipendenza, facemmo intervenire i falsi agenti i quali gli notificano i reati commessi al fine di indurlo a credere che sarebbe stato arrestato e trasferito presso l'istituto penitenziario di San Vittore, a Milano. A quel punto, una bella mattina, all'alba, fecero irruzione a casa del giovane e gli notificarono il provvedimento restrittivo.

Egli, disperato, proprio come aveva previsto Ghedini, mi telefonò pregandomi di intervenire. «Allora tu gli spiegherai che la sola maniera per non finire in galera sarà quella di accettare il ricovero in una comunità di recupero, quella il cui capo tu conosci bene e col quale ti sarai già accordato. Il ragazzo, senza dubbio, se la farà sotto e valuterà la condizione come una salvezza», questo era il piano diabolico di Niccolò, che me lo aveva illustrato con testuali parole. Piano che si rivelò perfetto. Tutto andò secondo programma pianificato a tavolino.
Giunse il dì del taroccato arresto. Il malcapitato rimase di stucco, non proferiva più sillaba, era rassegnato a recarsi in carcere, quando io gli proposi l'alternativa della struttura dedita alla rieducazione. Va da sé che acconsentì al volo, senza discutere. Salì in automobile in compagnia degli pseudo-gendarmi e per circa due anni subì le cure poco urbane dei rieducativi, i quali gli fecero passare la voglia di stordirsi con gli stupefacenti. Fu un trionfo di Niccolò, la sua tattica fu vincente.

 

Adesso l'ex "tossico" fa l'imprenditore, è marito e padre equilibrato e perbene. Non gli ho mai rivelato la via indicata dall'avvocato più bravo del mondo per salvargli la pelle. Né ho mai raccontato a qualcuno questa faccenda temendo di aver commesso un reato, sia pure a fin di bene. Oggi il delitto sarebbe prescritto, quindi lo confesso in lode a un uomo intelligente quanto buono.

La sua morte, causata dal linfoma non-Hodgkin, ossia un tumore maligno del sangue che non gli ha lasciato scampo, mi addolora intimamente. Un amico indimenticabile che non meritava un epilogo così precoce. Smetto di scrivere poiché mi viene da piangere, a me come a Berlusconi, che lo considerava alla stregua di un figlio. La sua storia di legale raffinato ed efficiente è nota, la sua bella e delicata personalità, purtroppo, un po' meno.

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