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Giustizia, i nostri giudici sono indipendenti ma non dalla legge

L’argomento è la punta di diamante della difesa corporativa che il ceto magistratuale utilizza a piene mani contro quelle che considera minacce ai suoi spazi di potere
di Nicolò Zanongiovedì 2 ottobre 2025
Giustizia, i nostri giudici sono indipendenti ma non dalla legge

(Libero)

3' di lettura

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, un estratto dell’introduzione firmata da Nicolò Zanon al volume I signori del diritto. Il potere più irresponsabile (214 pagine, 18 euro), scritto da Raimondo Cubeddu e Pier Giuseppe Monateri per la casa editrice IBL Libri.

È certo vero che le caratteristiche della funzione giurisdizionale hanno oggi da essere ambientate in un contesto assai diverso da quello “tradizionale”, dove per tradizione si intende la condizione storico-spirituale del positivismo post-Rivoluzione francese, ovvero del positivismo legalista ottocentesco, fiducioso nel ruolo del giudice come potere neutro, mera bouche de la loi secondo la visione di Montesquieu (visione che dovremo tornare a interrogare più volte). La differenza di contesto, si sostiene, dipenderebbe dal fatto che alcuni presupposti di fondo si sarebbero profondamente modificati.

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Per comprendere come stanno le cose, partiamo da uno dei concetti che oggi molto spesso tengono banco nella discussione pubblica dominante: l’indipendenza del giudice (o della magistratura più in generale). Argomento centrale, com’è ovvio, sia perché si tratta realmente di un aspetto essenziale dello Stato di diritto, sia perché, forse più prosaicamente, l’argomento costituisce la punta di diamante della difesa corporativa che il ceto magistratuale utilizza a piene mani contro quelle che considera, a torto o a ragione, minacce ai suoi spazi di potere.

Ebbene: nel discorso pubblico attuale non appare più evidente quel che si sosteneva nella teoria classica dello Stato liberale di diritto, che si è appunto sviluppata nell’Europa continentale dopo la Rivoluzione francese: e cioè che indipendenza del giudice e sua soggezione alla legge costituiscono due qualità essenziali e reciprocamente indissolubili.

Nella teoria “tradizionale”, la garanzia dell’indipendenza nel concreto esercizio delle funzioni giudicanti l’indipendenza funzionale del giudice o della magistratura più in generale serve a proteggere il giudice, cioè l’organo cui l’ordinamento attribuisce il potere di decidere controversie secondo diritto, da ogni ordine e direttiva proveniente dall’autorità politica. E questa è stata, è, e rimane, cosa sacrosanta per lo Stato di diritto, come si diceva. Ma l’indipendenza del giudice non è, e non è mai stata- e, per quanto mi concerne, non dovrebbe mai essere - indipendenza dalla legge. È vero il contrario: questa garanzia d’indipendenza ha un senso solo e proprio perché il giudice è soggetto alla legge (...).

Quando giudica, il giudice deve essere indipendente da direttive e ordini esterni e concreti, perché nello Stato di diritto - e, se mi è consentito, anche nello “Stato costituzionale di diritto” è decisiva la sua soggezione ai comandi generali contenuti nella legge. Così, dicono i pensatori classici, se il giudice abbandona il terreno all’interno del quale gli è possibile sussumere sotto norme generali e astratte la fattispecie concreta da decidere, «in tal caso non può più essere un giudice indipendente, e nessuna apparenza di giurisdizionalità può allontanare da lui questa conseguenza».

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Insomma, indipendenza del giudice e sua soggezione alla legge sono le due facce della stessa medaglia: l’una non è pensabile senza l’altra. La legge fornisce al giudice la norma, solitamente generale e astratta, da applicare al caso concreto e precostituisce così l’unico vincolo ammissibile alla funzione giudiziaria. Dietro alla norma il giudice ripara la propria indipendenza e sudi essa fonda la propria impermeabilità a influenze di altro genere. La legge è la misura cui la potestà interpretativa del giudice rispetto al caso da decidere deve adeguarsi.

Oggi le cose non starebbero più così, secondo molte accreditate dottrine. Proprio in nome della difesa dell’indipendenza del giudice, o della magistratura più in generale, si sostiene spesso che l’indipendenza nei confronti del potere legislativo debba ergersi a canone di interpretazione della legge stessa, cioè della fonte attraverso la quale quel potere si esprime e si manifesta, e rispetto al quale il potere giudiziario avrebbe illegittimo obbiettivo di opporsi.

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