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Ponte sullo Stretto, "perché il governo si deve fermare": la Corte dei Conti spiega l'agguato

martedì 16 dicembre 2025
Ponte sullo Stretto, "perché il governo si deve fermare": la Corte dei Conti spiega l'agguato

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Ecco le motivazioni con cui la Corte dei Conti ha bocciato il decreto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sul Ponte sullo Stretto, uno dei cavalli di battaglia del vicepremier Matteo Salvini. L’ennesimo agguato togato che si inserisce nella lunga scia di interventi dei magistrati contro l'esecutivo. I giudici contabili hanno infatti spiegato nel dettaglio le ragioni per cui, lo scorso 17 novembre, la sezione centrale di controllo di legittimità aveva bocciato il decreto relativo al terzo atto aggiuntivo della convenzione tra il Mit e la società Stretto di Messina.

Secondo la Corte dei Conti il provvedimento risulta incompatibile con le norme europee che regolano le modifiche dei contratti pubblici in corso di validità. Nelle motivazioni depositate oggi, la magistratura contabile parla esplicitamente di “perplessità” con riferimento all’articolo 72 della direttiva 2014/24/Ue. La Corte chiarisce che, per potersi avvalere “della facoltà di evitare lo svolgimento di una nuova gara e di far rivivere un contratto risalente a diversi anni prima”, l’amministrazione “è onerata della prova di aver pienamente e rigorosamente rispettato tutte le prescrizioni imposte dal d.l. n. 35/2023 nella parte in cui richiama l’art. 72 della direttiva 2014/24/UE, tenuto conto anche delle variazioni e modifiche degli stessi criteri di indicizzazione intervenute nel tempo con precedenti atti aggiuntivi”.

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Una prova che, secondo i giudici, non è stata fornita in modo adeguato. La Corte evidenzia come “la valutazione degli aggiornamenti progettuali in misura pari a euro 787.380.000,00, in quanto frutto di un’attività di mera stima, rende possibile il rischio di ulteriori variazioni incrementali, incidenti – in disparte i problemi di reperimento di nuove coperture – sul superamento della soglia del 50% delle variazioni ammissibili, anche in considerazione dei dati offerti dalla stessa amministrazione”. Un elemento ritenuto particolarmente critico, anche perché le modifiche progettuali sono già note: secondo la sentenza, poiché le parti contraenti “già oggi conoscono quali sono le modifiche progettuali necessarie, il rimandare il relativo computo ad un momento futuro, con conseguente separazione dei valori delle due modifiche, appare un comportamento non conforme al citato art. 72, perché ne comporterebbe l’aggiramento, realizzando così il comportamento espressamente precluso dalla norma”.

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Da qui la conclusione dei giudici contabili, secondo cui “può ritenersi che l’amministrazione non abbia fornito una prova certa e rigorosa dell’avvenuto rispetto del contenimento dell’aumento di prezzo entro il limite del 50 per cento del valore del contratto iniziale”. Le criticità, però, non si fermano agli aspetti economici. La Corte dei Conti mette in luce anche un problema di disciplina contrattuale, sottolineando che la convenzione, “come ammesso anche dalla stessa amministrazione, non disciplina la materia, invocando, nel resto, un rinvio al Codice nei contratti”. In particolare, emerge che “in caso di recesso dell’ente concedente dal contratto di concessione per motivi di pubblico interesse, al concessionario non sarebbero riconosciuti in contrasto con la disciplina codicistica ‘i costi sostenuti o da sostenere in conseguenza del recesso, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse’”. Una battaglia che però, per certo, non finisce qui.