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I bossiani si offrirono a BerlusconiMa lui li rifiutò

Dopo il caso Belsito esponenti del cerchio magico erano pronti a passare col Pdl. Ma Maroni convinse Silvio a Dire no

Lucia Esposito
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d Barbara Romano Tempi grami per gli onorevoli che hanno perso il loro Pigmalione. Con molta probabilità, infatti, nella prossima legislatura perderanno anche lo scranno, con l'aggravante della riduzione dei parlamentari. In cima alla lista degli orfani del capo ci sono i cerchisti del Carroccio. Ovvero, i leghisti di stretta osservanza bossiana, che non hanno avuto la prontezza di riposizionarsi anche un attimo prima che la leadership del Senatur venisse travolta dallo scandalo Belsito, come invece ha fatto il capogruppo al Senato, Federico Bricolo. Il nuovo corso maroniano inaugurato con l'espulsione dalla Lega dell'ape regina del cerchio magico, Rosy Mauro, e del tesoriere Francesco Belsito, seguiti a ruota dal senatore Piergiorgio Stiffoni, riduce quasi a zero la possibilità dei bossiani non solo di non essere rieletti, ma addirittura ricandidati. Tutta un'area padana passata in un batter d'occhio dai fasti alla damnatio memoriae, ora corre il serio rischio di rivederlo in cartolina il Parlamento. A meno di cercarsi un nuovo leader. Ed è quello che i fedelissimi di Bossi hanno fatto. O almeno ci hanno provato. All'indomani dell'incoronazione di Roberto Maroni a nuovo segretario federale della Lega Nord, lo scorso primo luglio al Forum di Assago, una delegazione di cerchisti guidati dall'ex capogruppo alla Camera, Marco Reguzzoni, rivela un'autorevole fonte leghista, è andata a bussare alla porta di Berlusconi offrendogli su un piatto d'argento la tanto sospirata rialleanza col Carroccio. Il Senatur era sul piede di guerra, recalcitrante all'idea di cedere del tutto lo spadone di Alberto da Giussano all'ex ministro dell'Interno.  A via Bellerio si aspettavano da un momento all'altro che l'Umberto facesse la scissione. La proposta dei cerchisti al Cav suonava più o meno così: «Se Bossi fa lo strappo, passiamo tutti con te». Quel «tutti» sta per una ventina di parlamentari, di cui una dozzina al Camera. A far parte della falange bossiana di Montecitorio, oltre all'ex presidente dei deputati Reguzzoni, sono: l'ex sottosegretario alla Salute del IV governo Berlusconi Francesca Martini, il presidente della provincia di Brescia Daniele Molgora, il vicecapogruppo vicario Alessandro Montagnoli, la vicecapogruppo Carolina Lussana, Marco Maggioni, Paola Goisis, Marco Desiderati, Giacomo Chiappori, Alberto Torazzi, Corrado Callegari e Angelo Alessandri. I cerchisti di Palazzo Madama sono sei, ma potrebbero diventare nove:  Mario Pittoni, Gianpaolo Vallardi, Luciano Cagnin, ai quali si aggiungerebbero i pasdaran della Lega. Cioè, gli espulsi Mauro e Stiffoni, più Lorenzo Bodega, che ha lasciato il gruppo per protesta quando la Rosy è stata cacciata dal partito. In via Bellerio sono convinti che se davvero il Senatur rompesse con Maroni, sarebbero pronti a seguirlo anche il vicecapogruppo alla Camera Sebastiano Fogliato, e i deputati Luca Paolini e Eraldo Isidori. Tanti parlamentari. Abbastanza da ridisegnare la geografia del centrodestra e far ballare il governo. Ma non sufficienti a formare gruppi autonomi in Parlamento. A Montecitorio occorrono venti deputati per costituire un nuovo soggetto politico. A Palazzo Madama, dieci senatori. Il cerchio magico, a luglio era andato a chiedere soprattutto questo al leader del Pdl: che gli prestasse un po' di onorevoli per costituire nuovi gruppi.  Un drappello parlamentare come quello dei bossiani fa gola a Berlusconi, perché gli consentirebbe di tenere sotto scacco il governo aumentando il suo potere di ricatto di azionista di maggioranza dell'esecutivo Monti. Quindi, a caldo il Cav ha accarezzato seriamente l'idea di accogliere i rinforzi dei leghisti pronti alla diaspora. Ma dopo il breve summit con Maroni, lo scordo 29 luglio, nel quale i due hanno iniziato a prendere le misure di una nuova alleanza Pdl-Lega, l'ex premier ha fatto marcia indietro. Il tête-à-tête con il neoleader del Carroccio l'ha posto di fronte a un bivio: o Bobo o gli epigoni di Bossi. E tra le due Leghe, Berlusconi non ha avuto dubbi su quale scegliere.

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