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Fini ci dà una medaglia: "Libero è anti-Casta"

Il leader Fli parla (ancora) a Repubblica: "Mi attaccano perché sono un ostacolo per Berlusconi". Immigrazione, tasse e alleanze: è Gianfranco o Bersani?

Giulio Bucchi
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Per Gianfranco Fini ormai Repubblica sta diventando un megafono ideale. Strano a dirsi, per uno nato nel Movimento Sociale. Ma tant'è: la parabola del presidente della Camera è sempre più estrema: un cerchio, da destra fin quasi a sinistra, senza giro completo. Nei giorni scorsi aveva scelto il giornale di Ezio Mauro per rispondere alle critiche di Libero sul caso della scorta fatta alloggiare ad Orbetello con stanze affittate per due mesi, giusto per precauzione. Uno spreco da 80mila euro a settimana che ha fatto guadagnare a Maurizio Belpietro una querela da parte dello stesso Fini e, paradossalmente, un'autocritica implicita dello stesso leader di Fli, che su Repubblica ammetteva di dover cambiare tutto il sistema delle scorte per evitare sprechi. E oggi, lunedì 27 agosto, nuova tappa del tour repubblicone di Gianfry: dalle colonne del maggior quotidiano di sinistra attacca ancora Libero e il Giornale, chi lo critica insomma. La colpa? Essere anti-Casta. "La pancia del berlusconismo" - Fini la definisce "versione più soffice del sentimento di antipolitica" di Grillo e Di Pietro, bollati come "di fatto anti-democratici" (segnatevelo: primo punto di contatto con Bersani). "Libero e il Giornale danno voce benissimo alla vera pancia del berlusconismo. Quella che ha bisogno di nemici, che vive più di anatemi che di strategie. Il filo conduttore di quest'area populista e demagogica è proprio la ricerca costante del nemico. Posso essere io, o la Merkel, i banchieri, l'euro, le tasse, lo Stato, gli immigrati". E gli attacci di Libero? "Dimostrano come per Berlusconi rappresento ancora un ostacolo". Dall'alto dell'1,8% dato a Futuro e Libertà? Fini di certo non pecca di autocelebrazione. Sempre più a sinistra - L'intervistatore lo pungola sottolineando come, con il caso della scorta, sia stato lo stesso Fini a disegnarsi un bell'obiettivo sulla schiena, pronto per il tiro a segno. Ma Gianfranco svicola ("La responsabilità o l'errore non sono certo dello scortato o della scorta. Ora bisogna rimettere ordine all'intero sistema") e preferisce tendere la mano ai suoi veri unici interlocutori rimasti: gli elettori di centrosinistra. Critica il Pdl e usa parole chiave della campagna elettorale di Bersani (secondo punto di contatto) quando parla di "sentimento contro le regole, contro i magistrati, contro le tasse, anti-immigrati e anti-minoranze" che nutrirebbero Berlusconi e i suoi simpatizzanti. Le elezioni si avvicinano e Fini si dice pronto a cancellare Fli in favore di una grande unione con Pier Ferdinando Casini ("Commetteremmo un errore madornale affrontando questa sfida in esclusiva o con il protagonismo dei nostri rispettivi partiti") e non chiude la porta ad un governo insieme a Bersani premier, tutto in chiave anti-Cav: "Sarà il Capo dello Stato a indicare il prescelto per Palazzo Chigi: è evidente che conterà quello che diranno le delegazioni dei partiti al Quirinale". Ma come Fini non era bipolarista convinto, chiede l'intervistatore: "Ormai dobbiamo archiviare un sistema che in Italia ha portato solo macerie". Che poi, un paio di righe più sotto, lo stesso Fini sottolinei come si debba evitare "una coalizione la più larga possibile" è solo l'ultima faccia di un uomo chiamato contraddizione.

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