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L'ex ambasciatore Usa: "Di Pietro e i pm violavano ogni diritto"

Bartholomew, a Roma dal 1993 al 1997, prima di morire ha ricordato gli anni di Tangentoopoli: "Imputati calpestati in modo inaccettabile. L'avviso di garanzia a Berlusconi nel 1994? Un'offesa a Clinton, al pool gliela feci pagare"

Giulio Bucchi
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di Mattias Mainiero Cominciamo dalla fine: la reazione di Antonio Di Pietro. Dice l'ex Pm: «Vent'anni dopo una persona fa delle affermazioni in relazione a comportamenti che lo stesso suo Paese ha fatto in modo totalmente diverso, mi sembra una cosa che non abbia né capo né piedi. Bartholomew è una persona che vuole sconfessare se stesso e il suo Paese e quindi non fa onore al suo Paese, ma non c'è più, quindi pace all'anima sua». Tralasciamo la linearità linguistica. È vero: Reginald Bartholomew, ex ambasciatore statunitense a Roma dal '93 al '97, non c'è più. E' morto domenica. Aveva 76 anni ed era malato di tumore. Ma un mese prima di morire aveva rilasciato un'intervista a Maurizio Molinari della Stampa. E in quell'intervista aveva riscritto la storia di Mani Pulite. Non tutta, ovviamente: i dubbi americani, i colloqui riservati, le aperture a Berlusconi, D'Alema e Fini. Soprattutto: le preoccupazioni per il comportamento dei magistrati italiani. Ci furono eccessi e un ricorso anomalo alla carcerazione preventiva. Dice Bartholomew: il pool di Milano, «nell'intento di combattere la corruzione politica dilagante era andato ben oltre, violando sistematicamente i diritti di difesa degli imputati in maniera inaccettabile in una democrazia come l'Italia...». E così lui fece una cosa che normalmente gli Usa riservano ai Paesi del Terzo Mondo: sfruttando una visita in Italia di Antonino Scalia, giudice della Corte Suprema statunitense, organizzò un incontro con sette importanti giudici italiani. E Scalia spiegò agli italiani che quel comportamento violava i diritti basilari degli imputati. «Nessuno obiettò». Di Pietro non è d'accordo. Dice che se Bartholomew fosse vivo, lo querelerebbe. E non spiega perché un ex ambasciatore colto e raffinato (così lo definisce Molinari), che sa di avere i giorni contati, abbia sentito il bisogno di raccontare ad un italiano come andarono le cose in Italia. Sul letto di morte non si agisce per vendetta o invidia o chissà cosa. Se mai per senso dell'onore. Per consegnare a chi resta un brandello di verità. Per alleggerirsi la coscienza. O perché le cose si svolsero in un certo modo e ormai giunti al capolinea non c'è più alcun motivo per raccontarle in modo diverso da come il protagonista le ricorda. Luglio del '94. Clinton è in Italia. Summit di Napoli. Berlusconi è da poco presidente del Consiglio. Al Cavaliere viene recapitato, a mezzo stampa e poi materialmente, un avviso di garanzia. Dice Bartholomew: «Si trattò di un'offesa al presidente degli Stati Uniti». E aggiunge: «Il pool di Mani Pulite aveva deciso di sfruttare» Clinton «per aumentare l'impatto della sua iniziativa giudiziaria contro Berlusconi». Qualche sospetto, anche i non ambasciatori, lo avevano avuto. Ora ci sono i sospetti e i racconti americani. C'è, soprattutto, il cambio di strategia degli Usa. Tramontata la Dc, bisognava tessere il futuro. Bartholomew strinse rapporti con D'Alema, aprendo all'allora Pds, e con Gianfranco Fini. Incontrò anche Berlusconi. E non ebbe mai incontri con i giudici del Pool, «neanche con Antonio Di Pietro», che sarebbe sceso in politica, ma più tardi. Dichiarazione inedita dell'ambasciatore: il suo predecessore, Peter Secchia, aveva consentito al Consolato di Milano di gestire un legame diretto con il pool di Mani Pulite. Lui, resosi conto che sotto i colpi delle inchieste giudiziarie e degli arresti la classe politica italiana si stava sgretolando ponendo rischi per la stabilità dell'alleato, cambiò strategia. In sintesi: riportò le decisioni da Milano, Consolato americano, a Roma, via Veneto, ambasciata statunitense. Abbastanza chiaro. Non c'è da aggiungere altro. P.S. Forse è vero, come sostiene Di Pietro, che le dichiarazioni di Bartholomew smentiscono i comportamenti avuti dal suo Paese. Ma gli Usa hanno altre mire e priorità, devono badare ai rapporti internazionali, si muovono su delicati scacchieri. Reginald Bartholomew, malato di tumore, sapeva che stava per morire. L'unico scacchiere sul quale ormai si muoveva era quello della sua coscienza e della verità storica, che gli sopravviverà, qualunque essa sia.

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