Chi era il cardinale Carlo Maria Martini
Si è spento a 85 anni l'Arcivescovo emerito di Milano: la vita e il pensiero
Benedetto XVI ha potuto salutarlo lo scorso 3 giugno, nell'episcopio di Milano: 7 minuti appena ma di comunicazione profonda. Uno scambio di sguardi, poche parole (a causa della malattia ormai avanzata, Martini parlava con difficoltà, servendosi di un piccolo megafono). Un abbraccio fraterno. Più volte, da quando è Papa, Joseph Ratzinger aveva voluto rendere omaggio al grande cardinale gesuita, punto di riferimento dell'ala progressista nel Conclave del 2005 dopo essere stato il simbolo di una chiesa più aperta e dialogante per tutto il pontificato di Giovanni Paolo II, il Papa polacco che lo aveva nominato a sorpresa arcivescovo di Milano (la più grande diocesi del mondo) il 29 dicembre 1979 e lo ha consacrato personalmente il 6 gennaio del 1980. Il gesuita Martini infatti era allora il magnifico rettore della Università Gregoriana (dopo esserlo stato del prestigioso Pontificio Istituto Biblico) ed era considerato un autorevole biblista, non certo un pastore. Non risulta però che mai Papa Wojtyla si sia pentito della sua scelta, anche se per vent'anni quello dell'arcivescovo di Milano ha poi rappresentato una sorta di magistero paallelo, se non alternativo, tanto che il Corriere della Sera era arrivato a definirlo in un titolo "il candidato degli anglicani" al Papato, per dare conto degli ottimi rapporti (vere e proprie convergenze) tra la visione martiniana e la Chiesa protestante inglese (che dopo aver ordinato le pastore si interroga anche sulla possibilità di vescovi gay sposati). Questa continua contrapposizione con Roma, il cardinale la viveva senza arroganza, quasi meravigliandosi che giornali e giornalisti cogliessere le poche differenze piuttosto che la sua sostanziale obbedienza. Nel 1997, ad esempio, commentando il "no" definitivo di Wojtyla al sacerdozio femminile, l'arcivescovo di Milano disse: "nella storia della Chiesa primitiva però ci sono state le diaconesse: possiamo valutare a questa possibilità". Gli storici della Chiesa antica replicarono immediatamente che le donne erano ammesse a un particolare servizio della carità che si differenza dal diaconato odierno in quanto non era prevista l'ordinazione che ne fa oggi una sorta di primo grado del sacerdozio. E il cardinale evitò di controreplicare. Il torinese Martini (autore di decine di libri di commento esegetico e che da professore amava fare lezione in latino) era così: non cercava la polemica con Roma, ma non era disposto a tacere se la pensava diversamente dal Papa. Il motto episcopale che si era scelto, del resto, è "De veritate adversa deligere", un'affermazione che suona molto ratzingeriana: "Per la verità scegliere le avversità". Così, da biblista, non ha tralasciato di scrivere in questi anni recensioni assai puntute ai due volumi dell'opera teologica "Gesù di Nazaret", firmati da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. E il Papa tedesco non se l'è presa affatto. Anzi in più occasioni, anche in discorsi pronunciati a braccio, ha rinnovato la sua stima e espresso considerazione per Martini, come pastore e come studioso. Non dimenticando mai quanto era accaduto il 19 aprile 2005, quando il porporato gesuita ha fatto convergere sul suo nome i cardinali progressisti, che nelle prime votazioni avevano indicato l'arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Maria Bergoglio (anche lui gesuita). I due cardinali professori, il teologo e il biblista, oltre che coetanei (classe 1927: Martini è nato il 15 febbraio, Ratzinger il 16 aprile) hanno sempre avuto rapporti cordiali. Anzi si può dire che tra loro c'è sempre stato un feeling, anche se quello divenuto Papa era allora, per il suo ufficio di prefetto dell'ex Sant'Uffizio, il custode dell'ortodossia, e l'altro, l'arcivescovo di Milano, amava invece i territori più impervi e inesplorati della teologia e dell'etica, dove spesso camminava rasente ai precipizi, come emerge anche dai suoi più recenti scritti sull'eutanasia. Joseph Ratzinger e Carlo Maria Martini si erano conosciuti personalmente solo nell'agosto del 1978, quando alla morte di Paolo VI l'allora arcivescovo di Monaco trascorse a Roma le settimane del preconclave. Pochi mesi prima il rettore della Gregoriana (che nel tempo libero assisteva gli anziani ospiti di una casa famiglia della Comunità di Sant'Egidio a Trastevere) era stato chiamato da Papa Montini a predicare gli esercizi spirituali di Quaresina in Vaticano, un incarico prestigioso che qualche tempo prima era toccato anche a Karol Wojtyla. Si dice che l'infarto che l'uccise appena un mese dopo l'elezione abbia sorpreso Giovanni Paolo I mentre si struggeva per decidere chi mandare a Milano in sostituzione del cardinale Colombo, ormai anziano, e chi a Venezia, a fare il patriarca al suo posto. E che Albino Luciani pensasse per uno dei due incarichi a un gesuita, padre Bartolomeo Sorge. In ogni caso, morto il Papa del sorriso ed eletto il vigoroso arcivescovo di Cracovia, alla fine il 10 febbraio 1980 fu un gesuita, Carlo Maria Martini, a fare l'ingresso ufficiale nella Diocesi di Milano, che ha poi guidato per oltre vent'anni. Nel novembre 1980, cioè pochi mesi dopo, ha introdotto in diocesi la "Scuola della Parola" che consiste nell'aiutare il popolo di Dio ad accostare la Scrittura secondo il metodo della lectio divina. E' del novembre 1986 il grande convegno diocesano ad Assago sul tema del "Farsi prossimo", dove viene lanciata l'iniziativa delle Scuole di formazione all'impegno sociale e politico. Grande risonanza ha avuto poi la serie di incontri - iniziati nell'ottobre del 1987 - sulle "domande della fede", detti anche "Cattedra dei non credenti", indirizzati a persone in ricerca della fede. Uomo del dialogo, nel 1983 fu scelto come interlocutore dai militanti di Prima Linea in una "conferenza di organizzazione" che si tenne nel carcere Le Vallette di Torino, dove erano concentrati la gran parte degli imputati del "maxiprocesso" che era in corso contro l'organizzazione, che decisero di far consegnare proprio all'arcivescovo Carlo Maria Martini le armi ancora in disponibilità dei piellini rimasti liberi. Del suo episcopato milanese resta memorabile il 47esimo Sinodo diocesano di Milano, che fu convocato il 4 novembre 1993 e si chiuse il primo febbraio 1995. Nel 1997 ha presieduto le diverse manifestazioni per celebrare il XVI centenario della morte di S. Ambrogio, patrono della diocesi di Milano. Vasta eco, al di là dei limiti territoriali della diocesi, hanno avuto le sue Lettere Pastorali e i Discorsi alla città di Milano, con richiami all'impegno e alla coerenza non solo dei cattolici. Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee dal 1987 al 1993, Martini ha anche preso parte a numerose Assemblee del Sinodo dei Vescovi. Relatore alla VI Assemblea generale del 1983, sul tema: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa", è stato Membro della Segreteria del Sinodo dei Vescovi per molti diversi mandati. E proprio in uno degli ultimi Sinodi convocati da Wojtyla era intervenuto per chiedere un nuovo Concilio, proposta però subito archiviata dagli altri padri sinodali e da Giovanni Paolo II. Dimessosi a 75 anni esatti da ogni incarico, l'arcivescovo emerito di Milano dall'11 luglio 2002 si trasferì a Gerusalemme dove riprese gli amati studi biblici. E lo si vedeva passeggiare con il panama bianco e un bastone elegante nella città vecchia, tra la Porta di Damasco e quella di Jaffa, un itinerario che compiva spesso per recarsi dalla casa dei gesuiti biblisti al Santo Sepolcro. Il resto è storia dei nostri giorni. La stessa malattia di Wojtyla, il morbo di Parkinson, lo costrinse qualche anno fa a rientrare in Italia, a Gallarate, da dove non era per lui possibile spostarsi facilmente, ma grazie a internet poteva collaborare con diverse testate, tra le quali il Corriere della Sera che ogni 15 giorni gli dava una pagina per rispondere ai lettori sui temi della fede e della morale. di Salvatore Izzo (Agi)