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Bossetti fa i nomi di due colleghi: "Loro sanno qualcosa"

Matteo Legnani
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Per due settimane, dal suo clamoroso arresto con l'accusa di essere il killer di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti aveva deciso di non dire una parola agli inquirenti, salvo professarsi innocente. Ieri, però, la strategia del muratore di Mapello è cambiata radicalmente. E per tre ore il sospetto ha parlato ai giudici spiegando perchè, secondo lui, il suo dna sarebbe finito sul corpo della ragazzina di Brembate. Gli attrezzi, avrebbe detto, gli sarebbero stati trafugati da qualcuno. E siccome lui perde sangue dal naso, gli attrezzi sarebbero stati facilmente "contaminati" col suo dna. Per trovare il colpevole, dunque, occorre secondo Bossetti cercare chi gli ha rubato gli attrezzi nel cantiere di Palazzago dove lavorava ai tempi della scomparsa di Yara, il 26 novembre 2010. Poi il colpo di scena: nel corso delle dichiarazioni spontanee, Bossetti ha anche fatto due nomi. Quelli di due persone che lavoravano con lui nello stesso cantiere. Non si tratta di persone su cui il muratore di Mapello, in cella con l'accusa di essere l'autore del delitto, vuole scaricare colpe o indicare come sospetti responsabili del crimine, scagionando se stesso. Ma di persone che “potrebbero sapere qualcosa” su come sono andati i fatti veramente. Forse loro sanno, possono sapere, possono magari fornire elementi utili ad aiutare le indagini, avrebbe detto l'indiziato agli inquirenti. 

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