Garlasco, le tappe: la superperizia che assolve Stasi
Ripubblichiamo l'articolo di Cristiana Lodi uscito su Libero del 29 settembre 2009. Serviva la relazione del medico legale incaricato dal giudice Lorenzo Varetto per dimostrare che Alberto Stasi non c'entra niente con l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Ed era necessaria la consulenza del perito Nello Balossino, sempre incaricato dal gup Stefano Vitelli, per capire che sulla scena del delitto sono intervenute addirittura due persone, come provano le differenti tipologie di orme trovate nella villetta della morte. Ancora: i periti informatici, sempre nominati dal Tribunale, hanno constatato che l'imputato ha lavorato al computer la mattina del delitto, confermando così il suo alibi già di ferro. È servito tutto questo per concludere che in due anni è stata condotta un'indagine sbagliata e ostinata, una specie di persecuzione nei confronti di un ragazzo di 26 anni chiamato a dimostrare di essere innocente. Tutto questo da parte di magistrati che, pur non riuscendo a mettere insieme un solo solido indizio contro di lui, hanno chiesto la condanna a 30 anni: il massimo della pena con la formula del rito abbreviato scelta per questo processo. Due anni di indagini a vuoto e un assassino (o assassini) che probabilmente non avrà mai un volto. Perché, come dimostrano i fatti, si è cercato solo da una parte e da quella sbagliata. Il dottor Lorenzo Varetto ieri mattina alle 8 ha consegnato la sua relazione ed è venuto giù tutto: frantumato l'impianto accusatorio costruito dal pm Rosa Muscio e fatto proprio da gran parte dei media, che si sono accaniti con lo stereotipo «del biondino dagli occhi di ghiaccio», attribuendo connotati lombrosiani alla miopia di Alberto. Demolita l'ipotesi sintetizzata in un video (nemmeno acquisito a processo) dal consulente della parte civile, il quale ipotizzava che l'omicidio si sia consumato in sette minuti, chissà se a questo punto il magistrato riformulerà la sua richiesta di condanna. La super-perizia riguardo alla dinamica del delitto precisa che «non fu un fatto concentrato nel tempo essendo individuati due casi ben distinti. Non è possibile», scrive l'esperto nominato dal giudice, «stabilire la durata dell'intero episodio, ma potrebbe essersi protratto anche per alcune decine di minuti». Secondo l'esperto, inoltre, non è «valutabile con precisione l'epoca della morte se non affermando che essa avvenne nel corso della mattinata». Affermazioni che vanno contro anche alla ricostruzione fatta dalla parte civile e al suo filmato dimostrativo. I nodi sbrogliati - Ma non c'è solo questo. La lunga relazione scioglie anche gli altri nodi che erano stati esaminati nell'udienza: le presunte tracce di sangue sui pedali della bicicletta di Stasi , le scarpe indossate dall'imputato che «non potevano non sporcarsi» e le tracce di Dna di Chiara e l'impronta di Alberto sul dispenser del sapone in bagno. «Non è possibile precisare la natura del materiale biologico di Chiara Poggi, presente sui pedali», spiega il perito, materiale che «potrebbe essere costituito da qualsiasi tipo di tessuto riccamente cellulato». Il perito ha analizzato anche le impronte sul dispenser del sapone in bagno, dove l'assassino si sarebbe lavato prima di scappare. Secondo l'esperto la spiegazione più semplice e ragionevole è che entrambi abbiano toccato l'oggetto «in tempi e in un numero di volte a noi del tutto sconosciuto e non determinabile. Per cui il dato appare del tutto irrilevante al fine della costituzione di una prova scientifica». E si arriva alle scarpe. Su queste, risultate «immacolate», si era basato tutto il castello costruito dall'accusa. Ma ora fanno segnare un punto a favore del bocconiano. In sostanza, scrive Varetto «possiamo ritenere che meno di 40 minuti dopo il riferito passaggio di Alberto Stasi nell'abitazione almeno una buona parte del sangue presente sul pavimento della villetta di via Pascoli, eventualmente anche la sua totalità, fosse secca». Un altro punto a vantaggio della difesa, che aveva insistito sull'idrorepellenza delle suole delle Lacoste. E c'è da sottolineare anche, oltre all'effetto usura dell'asfalto e del ghiaietto, che Alberto aveva attraversato il prato del giardino di casa Poggi mentre erano in funzione i “gettini” dell'impianto di irrigazione. Ma c'è di più: sui pedali e sul tappetino dell'auto con cui Stati è corso in caserma la mattina del 13 agosto 2007 non si è trovato sangue. Formalmente bisognerà attendere il prossimo 7 ottobre perché i consulenti informatici consegnino le loro conclusioni; l'unica sorpresa potrebbe nascondersi tra le “celle” dei ripetitori cui si è agganciato il cellulare di Alberto la mattina del delitto. Ma a questo punto sembra davvero difficile ipotizzare per lui una condanna. La serenità di Alberto - Alberto, che ha sempre seguito con estrema attenzione ogni passaggio dell'inchiesta e del processo, ha reagito con il consueto auto-controllo alla notizia che può cambiargli la vita: «Ho sempre detto di essere innocente, sono sempre stato sereno, perché non ho ucciso Chiara. E ora lo sono ancora di più, perché i periti dei giudici confermano ciò che i consulenti della difesa hanno sempre sostenuto: e cioè che io sono innocente». Chi invece preferisce non dire nulla è il procuratore Lauro: da parte sua solo un laconico no comment. di Cristiana Lodi