Pensioni, Blangiardo rivela come stanno le cose: "Lavoreremo per mantenere gli immigrati"
La nonna Europa ripopolata dalla giovane Africa. Gli stranieri che fanno i lavori che gli italiani rifiutano. Gli immigrati che pagano le nostre pensioni. La legge sullo ius soli che, una volta approvata, adeguerà l'Italia agli standard di civiltà europei. Sono alcuni dei luoghi comuni di cui è pieno il discorso pubblico e che, pazientemente e numeri alla mano, Gian Carlo Blangiardo smonta o ridimensiona. Blangiardo insegna demografia all'Università di Milano-Bicocca e quindi il suo oggetto di studi è l'altra crisi che investe il nostro Paese, oltre a quella economica. Una crisi meno evidente (anche se è ogni giorno sotto gli occhi di tutti), ma dalle radici più profonde. La crisi delle nascite. In 150 anni di Italia unita non era mai successo che in un anno venissero al mondo meno di 500 mila bambini. Nemmeno nel 1917, dopo tre anni di guerra, quando i nuovi nati furono 676 mila. Nemmeno durante la Seconda guerra mondiale, quando non si scese mai sotto gli 800 mila. Ebbene, nel 2015, dopo settant'anni di pace, le nascite sono state 486 mila. L'anno dopo si è scesi ancora. «E nel 2017 sarà ancora peggio. A nulla sono servite iniziative un po' maldestre come il bonus bebè o la possibilità accordata anche ai padri di assentarsi dal lavoro per accudire alla prole. Si è trattato di spot elettorali o poco più», dice Blangiardo. Calano le nascite, aumentano i decessi (con picchi anomali in anni recenti: «per un peggioramento, temo, della qualità dell'assistenza sanitaria: a farne le spese sono i soggetti più deboli»), diminuisce inesorabilmente la popolazione italiana. Gli immigrati non suppliscono: il tasso medio di natalità delle donne d'origine straniera, pur superiore a quello delle italiane, scende con gli anni. «L'immigrazione ha compensato per un po' il saldo naturale negativo fra nati e morti. Oggi non lo fa più». Il trend è europeo o c' è una specificità italiana? «L' Italia è, in Europa, uno dei Paesi più deboli con Grecia, Spagna e Portogallo. C' è anche una debolezza della Germania, ma i tedeschi sono più furbi, selezionano meglio gli stranieri in ingresso e da un po' dimostrano una sensibilità maggiore rispetto a questi temi. Diciamo che, se al mondo Germania Giappone e Italia sono le nazioni più vecchie, la prima prova a correre ai ripari, il secondo si affida ai robot, la terza invece naviga a vista». In Europa ci sono casi in controtendenza? «La Francia e i Paesi del Nord: Svezia, Norvegia, Finlandia, in parte anche Olanda e Regno Unito. Non che vantino risultati eclatanti, ma lì la fecondità è più elevata». Perché? «Merito di servizi più efficienti, di leggi migliori sulla conciliazione tra famiglia e lavoro e di incentivi economici per chi fa figli. La Francia ha grosso modo i nostri abitanti, ma grazie a misure come il quoziente familiare registra ogni anno 200-300 mila nascite in più rispetto all' Italia». I nostri politici sono più disinteressati o più impotenti? «Quando ero all' Osservatorio nazionale della famiglia, dal governo ci si diceva: il "fattore famiglia" (una sorta di quoziente familiare adattato all' Italia) sarebbe una bellissima cosa, ma non possiamo investire tutte quelle risorse». Quindi c' è la consapevolezza, ma mancano i soldi. «E manca il coraggio. Immaginiamo qualcosa di simile alla "tassa sui celibi" d' antica memoria: chi la proponesse si alienerebbe i voti dei giovani. I risultati si otterrebbero, ma dopo vent' anni. Meglio, allora, misure più dimostrative che efficaci, come gli 800 euro alle neo-mamme. Una visione di corto respiro. Per invertire la tendenza ci vorrebbe un De Gasperi, e di De Gasperi oggi non ne vedo». La bassa natalità, si dice, è figlia del benessere. Nel contempo si dice anche che non si fanno figli perché c' è la crisi. Non è contraddittorio? «Le due cose non si escludono. Quando il livello del benessere aumenta, si diventa più esigenti. Così oggi un figlio, rispetto al passato, richiede più attenzioni, più cure, più tempo: più costi. Di qui, il calo della natalità. Ma quando sopravviene una crisi economica le cose cambiano: prima di fare un figlio, che pure si desidera avere, si preferisce aspettare. È il perverso rinvio che poi, complice l' orologio biologico e la minor fertilità della popolazione, diventa rinuncia». Ci "salveranno" gli immigrati, ci viene ripetuto. «L' immigrazione va gestita con criteri di sostenibilità, per non compromettere il benessere di chi c' è e di chi arriva. Possiamo permetterci di ricevere chi vada a colmare effettive carenze in determinati settori. Penso agli indiani che mungono le mucche della pianura padana, alle badanti dell' Est Europa Il mercato, alle condizioni attuali, ha un certo bisogno di manodopera straniera. Sottolineo: alle condizioni attuali». Che intende dire? «Che basterebbe alzare il livello delle retribuzioni e cambiare certi contratti per spingere i giovani italiani a fare quei lavori che oggi non fanno. Nella mia università il personale che fa la vigilanza è in buona parte straniero, ma non credo che i nostri disoccupati, a certe condizioni, non siano disponibili a quel tipo di lavoro. E comunque, anche ammettendo lacune settoriali da colmare facendo ricorso a manodopera straniera, va fatta una riflessione sull' andamento futuro del mercato del lavoro». Cioè? «In molti campi un giorno potrebbe non esserci quella richiesta di forza lavoro che oggi ancora c' è. E i buchi nella popolazione non avrebbero quindi bisogno di rimpiazzi». A proposito di futuro. Gli immigrati ci pagano le pensioni, sostiene il presidente dell'Inps Tito Boeri. «Quelli di Boeri sono discorsi un po' propagandistici. Certo, oggi l' Inps incassa i contributi di giovani immigrati e li usa per pagare gli assegni. Ma vanno considerate due cose. Anzitutto, è vero: noi abbiamo bisogno ogni anno di un certo numero di nuovi lavoratori che versino contributi. Ma non necessariamente devono essere stranieri, potrebbero anche essere donne o giovani italiani, per citare due categorie il cui tasso di partecipazione al mercato del lavoro è basso». La seconda osservazione? «I contributi versati dagli immigrati sono un prestito, non un regalo. Andranno restituiti sotto forma di assegni pensionistici. Non si può mica sperare che gli immigrati si dimentichino di quanto hanno versato in Italia e se ne tornino nei Paesi d' origine senza reclamarlo...». Si pensa poco all' immigrato come futuro pensionato. «Io ho fatto qualche calcolo, confrontando anno dopo anno il numero dei sessantacinquenni presenti in Italia con il numero delle persone nate in Italia 65 anni prima. Inizialmente il primo numero è inferiore: di tutti i nati, non tutti sopravvivono fino a quell' età. Col tempo, il primo numero diventa maggiore. Come si spiega? A compiere 65 anni sono soggetti non nati in Italia, ma invecchiati qui. Ebbene, all' incirca dal 2030 in poi la differenza tra i due numeri è nell' ordine di 200 mila persone all' anno». Duecentomila immigrati che ogni anno arriveranno vicini all' età della pensione. «Gente che, però, è arrivata qui magari a 30 anni, o anche a 50 (pensiamo alle badanti ucraine), e che spesso, prima di firmare un regolare contratto di lavoro e versare i contributi, ha lavorato per un certo periodo in nero. Quando andranno in pensione, i loro assegni, calcolati col metodo contributivo, saranno molto esigui. Alcuni, è da pensare, talmente modesti da dover essere integrati dalla fiscalità generale. Sempre che ce lo si possa permettere». Insomma, se si comparano i benefici ai costi le affermazioni di Boeri si rivelano unilaterali. «E non abbiamo calcolato i costi delle prestazioni di altra natura, dalla scuola all' assistenza sanitaria. Basta andare in un pronto soccorso e vedere il numero di stranieri per farsene un' idea». Della polemica sullo ius soli che idea s' è fatto? «È una legge che non serve. Quando sento Grasso o la Boldrini parlare di scelta di civiltà rabbrividisco. I diritti dei bambini non dipendono dalla cittadinanza: vanno riconosciuti a prescindere. Molte obiezioni, poi, sono infondate: uno studente senza cittadinanza in gita scolastica può andare praticamente dappertutto. Idem per l' Erasmus: basta avere il permesso di soggiorno. C' è poi una cosa che nessuno dice». Che cosa? «Con la legge attuale il nostro Paese è il primo in Europa per numero di cittadinanze concesse: 178 mila nel 2015 (salite a 202 mila nel 2016). Quanto alla cittadinanza ai minorenni, siamo secondi solo alla Francia (70 mila sempre nel 2015). Questo perché la legge consente la trasmissione ereditaria. Quando i genitori ottengono la cittadinanza, la passano automaticamente ai figli. Ma non basta». Che altro c'è? «Oltre che inutile, la riforma sarebbe dannosa, perché scomporrebbe l' unità dei nuclei familiari. Ci sono 64 Paesi che non ammettono la doppia cittadinanza (tra gli altri, Cina India Nigeria Tunisia Ucraina). Se un bimbo cinese diventa italiano perde la cittadinanza cinese, che rimane ai genitori e magari al fratello più grande. Si immagini le difficoltà, per quel nucleo familiare, di viaggiare o tornare in patria. Insomma, questa legge è oggettivamente una scemenza, una pura battaglia di bandiera». di Alessandro Giorgiutti