Prof trevigiano lascia casa sua agli africani: fa soldi coi profughi e vive dal prete
Scuotiamo la testa nel riportare la storia di Antonio Calò, 55 anni, pugliese trapiantato a Treviso, dove insegna storia e filosofia al liceo "Canova". Due anni fa l' insegnante aveva deciso di accogliere nella sua villetta di Povegliano sei richiedenti asilo provenienti dal Ghana, dalla Nigeria e dal Gambia. Dal 2015 il prof, la moglie Nicoletta, i loro quattro figli, ormai grandi, e i migranti (tutti ragazzi tra i 20 e i 30 anni) hanno vissuto tutti assieme appassionatamente. Lo Stato, lo sappiamo, per ognuno dei ragazzoni africani accolti in Italia (abbiano il diritto o meno di restarci) sgancia 30 euro al giorno, che nel caso dei Calò fanno 5.400 al mese. Una bella cifra, ed è noto a tutti come ormai l' accoglienza dei migranti sia diventataun business. Non interessa far qui i conti in tasca all' insegnante. D' altro canto, lascia perplessi che ora il prof, assieme alla consorte, abbia deciso di andare a vivere in canonica dal parroco - a Santa Maria del Sile - così da lasciare la propria casa nella piena disponibilità degli immigrati, che la divideranno coi figli della coppia. Insomma: il professore, con la moglie, va a vivere dal prete, don Giovanni Kirschner, e gli immigrati restano a casa sua. Per carità, ognuno è libero di fare le proprie scelte, purché rispettose della legge. Ma che senso ha prendersi sei africani in casa per poi andarsene, peraltro strombazzando la storia ai giornali locali? Più che un gesto caritatevole, pare un atto politico ben pubblicizzato. Di quelli che attirano gli inviati dei programmi a conduzione buonista nella villetta per descrivere la giornata tipo dei richiedenti asilo: le tavole imbandite di prodotti tipici africani, le serate sul divano davanti al televisore, forse i canti e i balli. Eccoli gli ingredienti per un capitolo di un nuovo libro Cuore. «Sarebbe bellissimo - dichiara il professore alla stampa - che, se i giovani profughi riuscissero a ricongiungersi con i loro familiari, la nostra potesse diventare una casa africana. Oggi siamo sopraffatti dalla vita, una solitudine interiore, un forte smarrimento. Per questo dobbiamo ritrovare senso in ciò che facciamo». Giusto: la solitudine, lo smarrimento, il senso in ciò che facciamo. E infatti si può immaginare che il prof, per sconfiggere questa deriva, non avrebbe problemi ad accogliere in casa sua anche qualche italiano con le pezze al culo, qualcuno che i trenta euro al giorno se li sognerebbe, se riuscisse a dormire. L' insegnante aggiunge poi anche che i preti oggi sono troppo soli, facendo dunque intendere che l' aver deciso di andare ad abitare con don Giovanni è stato un gesto di buon cuore nei suoi confronti. E don Giovanni, a sua volta, conferma: «Condividere può rendere la vita migliore, e se una persona vive bene può allargare questo benessere altri». Chissà perché però per "altri" si intende sempre i "migranti". Comunque, il don aggiunge: «Il prete non sceglie di vivere solo, ma di non sposarsi. La situazione è la stessa di chi rimane solo per i motivi più disparati: separazioni, vedovanza. Non abbiamo una soluzione a un problema, la nostra casa sarà sempre aperta. Se funzionerà potrà essere utile anche ad altre persone». Ma, diciamo noi, se dentro questa "casa" c' è tanto spazio, non possono entrarci anche un paio di trevigiani in difficoltà? Sulla vicenda, che rilanciata dai giornali locali ha letteralmente diviso il Nordest, il web ribolle: «Se il prof lo fa per soldi fa schifo» scrive un utente, un certo Faleschini, che prosegue: «Avesse dato la casa a italiani indigenti la cosa non avrebbe fatto notizia. Così invece si è guadagnato la pubblicità». «Siamo il primo caso nella storia di un popolo che si autoestingue» commenta R.G.. Bisogna dire, che pur in numero nettamente minore, c' è anche chi difende la scelta dell' insegnante, come Tommaso: «Prima dicono "sei favorevole ai profughi, portateli a casa tua". Adesso che qualcuno lo ha fatto non va bene lo stesso. Finitela con questi commenti indegni da persone incoerenti!». Infatti: la coerenza è prendersi in casa sei richiedenti asilo, andare con la moglie a vivere in canonica, strombazzarlo alla stampa e sbattersene dei poveri nostrani che muoiono di fame. di Alessandro Gonzato