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Vittorio Feltri, la vita agra dei neri in Sud Tirolo: perché l'integrazione è impossibile

Davide Locano
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Divampa la polemica sul tema Sud Tirolo ai cui abitanti di lingua tedesca si vorrebbe concedere il doppio passaporto, italiano e austriaco. Ci sembra una questione di lana caprina. Infatti avere in tasca due documenti anziché uno solo non cambia il destino di nessuno. I nostri connazionali sono persuasi di essere diventati padroni del Brennero e dintorni grazie a una conquista militare. Falso, si trattò di una annessione diplomatica avvenuta nel 1919 a guerra mondiale terminata. Da allora noi abbiamo invaso con la burocrazia il territorio, mentre i tirolesi hanno cercato di difendere la loro cultura e i loro diritti. Non sempre le cose sono andate bene. Ancora oggi i due popoli non si sono integrati completamente, e litigano sulla base di pregiudizi figli di una ignoranza della storia. Ecco perché riproponiamo due miei articoli pubblicati circa trenta anni orsono che aiutano a comprendere i motivi dei dissidi. Da quel tempo ai giorni attuali non è mutato molto. Vale la pena di fare un ripasso delle epoche trascorse per capire quanto accade adesso. Non parteggiamo per alcuno, desideriamo soltanto spiegare ai lettori lo svolgimento delle vicende altoatesine. di Vittorio Feltri *** Di seguito un reportage di Vittorio Feltri scritto nel novembre 1987 da Bolzano dopo i numerosi attentati di quel periodo. Dove sia tutta la tensione di cui si dice, francamente, non si sa. Non a Bolzano, mezzo vuota per le vacanze. Non a Merano, mezzo piena di italiani che si fanno i fatti loro, badando più al cassetto che al famoso “pacchetto”. A Lana, forse, il villaggio che ha rischiato di essere sommerso dall'acqua a causa della bomba alle tubazioni dell'Enel, sesto attentato in Alto Adige dal 17 maggio? Giriamo per il paese, bello e lindo come belli e lindi sono soltanto i paesi di montagna, di questa montagna. Stando a certe descrizioni patriottarde e fascistoidi compilate in loco, quasi sempre su ispirazione missina dovremmo incontrare ad ogni angolo ceffi biondi e dalla carnagione rossiccia come la cotenna dei würstel, inesausti bevitori di birra, truci canaglie con le tasche gonfie di dinamite, nemici giurati dell'Italia. E invece, al visitatore che chiede conto dell'accaduto e del suo perché, gli abitanti, accreditati quali provetti bombaroli o complici di bombaroli, si presentano col vello di pecora: mansueti, disponibili, addirittura premurosi, imbarazzati ma pronti a rispondere sull'antipatico argomento tritolo. Il vicesindaco allarga le braccia e condanna. E gli assessori deplorano, il parroco lancia anatemi, il farmacista è indignato, il salumiere è nauseato. Gli imprenditori, in sintonia con l'Associazione Industriali, esecrano. I giovani cattolici predicano concordia e tolleranza, e annunciano per martedì 23 una manifestazione (cui hanno aderito partiti e associazioni varie) per favorire la fusione della civiltà dei crauti con quella degli spaghetti. È tutta una sinfonia pro fratellanza. Ai tavolini all'aperto del “Café Kuntner” siedono tre uomini sui 55-60 anni, indossano il classico grembiule azzurro carta da zucchero e bevono vino come contadini padani, asciugandosi i baffi col pollice secondo l'etichetta internazionale delle osterie. Ho parcheggiato accanto, apposta per farmi notare, la macchina targata Roma, che immagino non sia un simbolo gradito da queste parti. Poi mi seggo vicino al gruppetto, ostentando un pacco di giornali italiani e provoco: «Brutta storia, finirà che prima o poi questa valle beata diventerà tale e quale l'Aspromonte. Peccato, per colpa di alcune teste calde». Si voltano tutti e tre e sembrano stupiti di constatare che parlo da solo. O non capiscono l'italiano? Il luogo comune dice che i tirolesi ignorino e disprezzino chiunque non sfoggi un tedesco almeno discreto. E allora insisto, per verificare: «Alludevo allo scoppio di martedì, avete avuto paura?». Sarà che ho imbroccato i crucchi più bonaccioni della regione, basta questo per accendere una discussione come non se ne sentono, per vivacità, neanche all'Arci di Reggio Emilia. In italiano, naturalmente, inasprito appena dalla “erre” gutturale dei miei interlocutori, che all'inizio sono diffidenti e poi mi offrono un “quarto” di rosso. «Non fa piacere - dice uno, e gli altri approvano con inequivocabili cenni del capo - vivere da quasi trent'anni in un centro di cui ci si ricorda solo perché di tanto in tanto salta per aria qualcosa. Ma noi che possiamo fare?». Aiutare i carabinieri, per esempio. O anche qui c'è l'omertà? «Chi usa l'esplosivo non fa propaganda e non si confida con nessuno». Nelle piccole comunità come la vostra il cerchio dei sospetti sarà proporzionato. «E se i terroristi venissero da fuori?». Se non sono di Lana, saranno di Merano o della Val Venosta o pressappoco, comunque della zona. «La provincia è grande ...». La popolazione ammonta a circa 550mila, se togliamo 150mila italiani, restano 300mila tedeschi: non sono un'enormità. Se non si scoprono i matti è perché qualcuno li protegge. «Anche voi avevate le Brigate rosse che ne ammazzavano uno al giorno: erano protette dai cittadini?». Un momento. Non solo non erano protette, ma se uno del partito armato moriva non aveva funerali da eroe. Voi invece martedì per le esequie di Georg Pircher, dinamitardo reoconfesso, avete riempito la chiesa: migliaia di tirolesi in lacrime, l'esercito degli Schützen in uniforme e il segretario generale della SVP, Bruno Hosp, ha dipinto il camerata come il Garibaldi delle Alpi. Insomma, è dubbio che la massa sia contro la violenza. Se applaudite a quella di ieri, come si può credere al vostro sdegno per quella di oggi? Non c'è coerenza. Stavolta replica Toni Ebner, il giornalista più rappresentativo di “Dolomiten”, 65mila copie, una per ogni famiglia. È un trentenne cortese ma deciso, sicuro di sé e della bontà dei propri argomenti che sono frutto di una laurea specifica, di dieci anni di professione e raccolta di testimonianze e documenti. Ecco il suo intervento: «Tutto sbagliato, caro signore. Lei non sa ... Pircher agiva nel 1960, quando qui eravamo oppressi e qualche scoppio è servito ad attirare l'attenzione della capitale sui nostri problemi, ed erano scoppi che non minacciavano l'incolumità delle persone. Oggi è diverso, molti diritti ci sono stati riconosciuti. Si tratta di migliorare la nostra posizione, ma è sufficiente negoziare. Sparare è da delinquenti, specialmente se a rischiare è la comunità. E martedì, tra l'altro, sono state messe a repentaglio vite tedesche: che patriottismo è?». D'accordo, ma i terroristi che vedono 3000 persone in ginocchio davanti alla salma di un ex abbattitore di tralicci si sentono incoraggiati, ritengono di avere un vasto consenso che legittimi le loro azioni. «Ai vostri occhi può sembrare in questo modo, ma loro, i malviventi, sono consapevoli di non essere dei Pircher, e non hanno seguito». Come spiega che non smettano? «Sono esaltati. Non hanno capito che fanno solamente danni: l'unificazione del Tirolo è un sogno irrealizzabile, perché i confini dell'Austria non sono modificabili per convenzione internazionale, e non rimane che puntare sull'autonomia, una maggiore autonomia, il resto è chimera, perdita di tempo, cattiva pubblicità della nostra causa». La destra della SVP è contraria al pacchetto e lo ha sbandierato a Vienna e Innsbruck, e in concomitanza sono ricominciati i botti. Chi fa l'ipotesi di una coincidenza o è ingenuo o è in malafede. «Ogni spunto è buono per chi non aspetta che pretesti per compiere disastri». Gli sconsiderati, però, sono tedeschi come voi: hanno le stesse vostre opinioni, non cambiano che i mezzi per imporle. «Non è esatto. Noi siamo europeisti, loro sono nazionalisti». Europeisti che preferirebbero l'Italia esclusa dall'Europa? «Chi ha detto questo?». Lo dice l'antipatia che avete per gli italiani. «Nessuna antipatia per la gente, semmai critiche severe allo Stato che con una mano ci dà una cosa e con l'altra ce la toglie». Cioè? «Le leggi provinciali vengono sistematicamente bocciate a Roma. Prenda la caccia: abbiamo le nostre abitudini, niente, dobbiamo uniformarci alle norme generali. E allora che autonomia è? Oppure il bilinguismo obbligatorio. I tirolesi hanno imparato l'italiano, gli italiani non hanno imparato il tedesco, che nelle scuole, pur essendo una materia in programma, viene studiato alla leggera. Cosicché la comprensione fra i gruppi etnici è ostacolata. Nei tribunali gli imputati sono ancora tenuti a esprimersi nella vostra lingua; figuriamoci un contadino, già confuso ed emozionato al cospetto del giudice, quali facoltà avrà di difendersi? Qui si ledono i diritti dell'uomo». Con la faccenda della cultura locale non vi sembra di farla un po' troppo lunga? «Non per capriccio, desideriamo conservare la nostra identità. Noi eravamo e siamo austriaci, e 70 anni orsono, improvvisamente, ci hanno cambiato nazionalità. L'etichetta è tricolore, il contenuto no. Sarebbe come se da domani la Lombardia fosse polacca». Italiani aguzzini, non esagererete? «In Libia non è andata diversamente». Però in Alto Adige 30 miei compatrioti su 100, per limitarsi a quelli che votano Msi, sostengono che gli aguzzini siete voi. «Una minoranza benché cospicua. Una minoranza che arrivò qui con la mentalità dei padroni di casa e non sopporta l'idea di aggiornarsi. Ci dicono: perché non ve ne tornate in Austria? No signori, questa è casa nostra e qui rimaniamo amministrando gli enti insieme con gli italiani residenti che stanno alle regole del gioco democratico, tanti voti, tanti seggi. E se togliamo le teste calde di qua e di là, non è vero che le due comunità non si tollerano, anzi, legano benissimo, non si contano i matrimoni misti e le iniziative corali nell'industria, nel commercio e nello sport». Un paradiso in cui talvolta si spara, insomma? «Un paradiso no, ma neanche un inferno come la Sicilia, la Sardegna, la Campania e la Calabria dove i morti ammazzati sono all'ordine del giorno tanto che l'opinione pubblica del Nord non ci fa più caso. Mentre in Tirolo ogni incidente senza vittime fa effetto». Mi sembrano ragionamenti da Lega Lombarda. «Appunto, se i sistemi romani non piacciono ai lombardi, perché mai dovrebbero piacere a noi?». di Vittorio Feltri

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