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Sea Watch, il segreto di Carola Rackete: cosa nasconde la capitana della nave Ong

Cristina Agostini
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Spiacerà alla Capitana, eppure io non solo sono un uomo occidentale e «bianco» (per usare il suo linguaggio razzista all'incontrario), ma sono fiero di esserlo. Sono nato in questa fetta di mondo, l'unica che alla prova della storia ha coniugato libertà personale e benessere collettivo (e non è un caso, se togliete la prima non avrete nemmeno il secondo, come ha dimostrato il fallimento epocale della distopia comunista). Non ne ho tratto alcun senso di colpa e non penso di dover espiare la mia provenienza biografica e culturale negandola, mortificandola, precipitandomi a fare da navetta tra lo sporco lavoro degli scafisti e le coste europee, quelle dei miei avi «bianchi», maledetti loro, come fa Carola Rackete. La comandante della Sea Watch e fresco totem delle sinistre mondiali (tanto da mettere già in discussione il primato che sembrava consolidato dell' ecofondamentalista Greta) rappresenta infatti un caso da manuale di quella che il grande filosofo conservatore Roger Scruton chiama «oicofobia». Letteralmente: l'avversione per ciò che è proprio, per la propria casa, per la propria cultura, per la propria storia. L'odio di sé. Una malattia dello spirito che è diventato il passatempo preferito delle classi dirigenti (?) europee e dei loro figli privilegiati, come Greta, come Carola. Per cui dopo il master in Conservazione Ambientale con una fondamentale tesi sui «nidi degli albatros», si inizia a far la spola tra la Libia e Lampedusa. Perché c'è un unico modo, per quest' intossicati dalla vergogna di sé, di riscattare i torti dell' Occidente verso tutti i dannati della terra. Portarceli in massa. Fino a dissolverlo, ovviamente. Leggi anche: "Migranti in panico per l'arrivo del Pd". Senaldi avvisa la Rackete: "Con loro in giro l'Italia non è un porto sicuro"  Perché vedi, cara Capitana, io che non ho sviluppato alcuna nevrosi ossessivo-compulsiva verso la mia identità, anzi ringrazio ogni giorno di appartenervi, so bene che la civiltà occidentale è eccezionale. In senso tecnico, un'eccezione dentro la storia di quel legno storto che è l' uomo. Solo all'interno di quest' eccezione si è dato quell'aggeggio che chiamiamo «democrazia», sia nel senso degli antichi, con la grande ouverture greca, che in quello dei moderni. Solo all' interno di quest' eccezione è comparsa la nozione cristiana di persona, e di dignità universale insita in essa, che poi si è trasformata nell' idea liberale e illuminista di individuo, e di diritti inalienabili ad esso connaturati. Solo all'interno di quest'eccezione è potuta crescere la più formidabile macchina di creazione di ricchezza e di riduzione della povertà che la storia umana conosca e che si chiama, volenti o nolenti, capitalismo (lo sanno bene, o meglio dovrebbero saperlo bene, Carola e i giovani ultrà del multiculturalismo come lei, visto che appartengono tutti all'alta borghesia, per quanto le loro acconciature non lo diano a vedere). Solo quest'eccezione su cui Carola e i suoi fratelli sputano ogni giorno, e che vorrebbero edulcorare in un'appendice dell'Africa, ha generato qualcosa che si chiama «società aperta», dove coesistono libertà economica, pluralismo religioso, pari dignità tra uomo e donna. Ebbene, io che non solo non mi vergogno di appartenere a quest'avventura, ma lo rivendico, so bene che la sua splendida anomalia rischierebbe di essere spazzata via, se passasse il modello che la Capitana e certi analoghi figli privilegiati d'Occidente in fregola parricida propugnano. Esodo incontrollato di popolazioni, che è cosa ben diversa dal fisiologico fenomeno dell'immigrazione, frullato impazzito di visioni del mondo spesso tra loro incompatibili, sostituzione culturale prima ancora che etnica. Fino alla sparizione dell'(auto)odiato uomo bianco e dello stesso Occidente. L'espiazione finale, il suicidio di una civiltà raggiunto nemmeno con un atto grandioso, ma per agonia ideologica, per triste e sfibrante autoconsuzione, la rinuncia definitiva. Il sogno di tutte le Carola Rackete. L'incubo di chiunque ami la libertà. di Giovanni Sallusti

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