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Francesca Mambro, la richiesta impossibile dello Stato: vuole un risarcimento da 2 milioni di euro

Davide Locano
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Ecco Francesca Mambro, al convegno di "Nessuno Tocchi Caino", nel carcere di Opera. Non ha voluto mostrarmelo prima, quel foglio, per non distrarmi dal lavoro di cronista. Ora che la giornata è finita, me lo mette in mano. Un momento. È un bollettino postale. È intestato ad Agenzia delle Entrate. Il debitore che deve recarsi in posta e saldare il proprio tributo allo Stato, è lei. La cifra segnata è di euro 2.209.520.657,35. Due miliardi e duecentonove milioni eccetera, senza dimenticare i 35 centesimi. Nel frattempo, mi dice che le stanno prelevando il quinto dello stipendio, forse 180 euro al mese. Per arrivare a saldare il debito a questo ritmo dovrà campare esattamente un milione e 22.925 anni. Auguri. Che si fa? Si ride o si piange. A questo ammonta il danno di immagine per lo Stato italiano calcolato dal Tribunale di Bologna per la strage del 2 agosto 1980. Leggi anche: Germania, 600 poliziotti in più per combattere l'estrema destra Una premessa. Francesca è l' esempio per me di umanità ritrovata dopo che pareva perduta nell' abisso del male. Si può risalire, si può cambiare, se qualcuno scende nel pozzo e ti guarda come un tempo insegnò il Nazareno, e ti dà una carezza, si può. Il raduno di "Nessuno tocchi Caino" è esattamente il racconto magnifico di molte storie così. Mambro è stata una terrorista. In questo caso non posso scrivere in modo impersonale: le sono amico, di lei come di Valerio Fioravanti, il marito, sin dal 1995. Hanno commesso efferati delitti, e lo sanno bene. Le loro spalle, le loro anime sono intrise di dolore, eppure di speranza. L' hanno ricevuta e ora la versano per gli altri, per la figlia, per i detenuti. Per me. Gli omicidi commessi quando militavano nel terrorismo "nero" li hanno confessati tutti, senza edulcorarne la crudeltà. Una cosa non hanno fatto: quella strage alla Stazione di Bologna. Su Libero abbiamo raccolto sul punto la testimonianza di Francesco Cossiga; nel seno dell' ultima Commissione Moro, deputati e senatori di destra e sinistra hanno raggiunto documentalmente la stessa convinzione: Mambro e Fioravanti sono innocenti. MECCANISMI ROBOTICI Ed ecco quel foglio. Perché lo Stato fa così? Che razza di meccanismi robotici possono produrre carte simili, essere lette da uomini e donne, infilate in una busta, portate da un ufficiale giudiziario. Questa storia assurda, dove la Giustizia, in perfetta conformità alla legge e ai regolamenti, non sa nulla e nulla vuole sapere del cittadino che riceverà la cartella esattoriale in esecuzione della sentenza, è la metafora perfetta dello stato della giustizia. Qualcosa però si sta risvegliando. La Corte costituzionale sta rimuovendo le torture più indecenti. E qui siamo arrivati al cuore dell' evento nel teatro del carcere di Opera, periferia Sud di Milano. Un convegno in mezzo alle celle, dedicato all' ergastolo ostativo (quello per cui sei un morto vivente, tenuto in vita solo per farti soffrire) e alla prospettiva di umanizzazione della pena valida per chiunque come ha stabilito quest' anno la sentenza n. 263 della Corte costituzionale. Lo ha organizzato ieri e dura ancora oggi - come si diceva - l' associazione "Nessuno tocchi Caino". Siamo (ci sono anch' io, sono in conflitto di interessi) 880 iscritti, troppo pochi. Abbiamo deciso in questi giorni davvero emozionanti di aggiungere alle parole di Dio riferite nel libro della Genesi, un altro versetto, questa volta del Nuovo testamento. È quello che Marco Pannella ritagliò poco prima di morire dalla lettera ai Romani di san Paolo: "Spes contra spem". Tradurre è facile ma impossibile da sostenere a rigor di logica: speranza contro speranza. Sembra un gioco di parole, ma la Bibbia non ha tempo da perdere coi calembour. In realtà Paolo di Tarso dice: la speranza è più forte dell' impossibilità di sperare. San Paolo appoggia questa certezza (la speranza per lui è "la certezza di cose future") su Gesù Cristo morto e risorto. Nel carcere si è morti e si spera di risorgere. Persino tra gli ergastolani vibra questa speranza, e ce ne sono tracce sperimentabili. Chi ha partecipato a questo congresso ne è testimone. Si può riascoltare su radio radicale.it. Questo raduno si tiene dentro i recinti proprio per consentire la partecipazione di alcuni detenuti a questo evento. Essi hanno spiegato cos' è per loro «stare seduti sul cumulo di rovine che è la loro vita» (l' ha detto uno di loro) e però, grazie a un incontro con chi li ha guardati non come carcasse meritevoli di marcire, ma come persone, essi sono uomini diversi, cambiati, carichi di dolore, soprattutto da quello arrecato alle vittime «dei miei efferati delitti». Accidenti: sono persone e basta. La nuova sensibilità manifestata dalla Consulta è figlia soprattutto del lavoro di chi è presente nelle carceri con gratuità e affetto: in prima linea c' è proprio "Nessuno tocchi Caino". In questo carcere è stato realizzato un docufilm che ti fa entrare nell' antro di anime considerate oscure, e invece resti inondato da una strana luce. Gli ergastolani di Opera, quelli schifosamente mafiosi, i pluriomicidi, si raccontano, e con ciò demoliscono la mafia dal di dentro, mostrando proprio questo: spes contra spem. L' impossibile si realizza, l' umanità fiorisce. Il docufilm è stato realizzato da Ambrogio e Luigi Crespi, ed è un autentico capolavoro. Il titolo è "Spes contra spem. Liberi dentro". Non è una illusione. Entrare in un carcere, attraversare i cancelli, sentire il clangore del metallo, lo scatto della serratura è qualcosa che stringe il cuore. Non vale solo per chi ci entra con le manette ai polsi. Ma per chiunque si affacci dentro questa realtà che è un mondo tenuto fuori dalla società, ma ne è parte. Si crede di sapere, ma finché non attraversi quella soglia è astrazione. SPES CONTRA SPEM Sul palco è accaduto tra i dotti interventi giuridici anche questo. C' era il sindaco di Palma di Montechiaro, provincia di Agrigento, con la fascia tricolore. È l' ingegner Stefano Castellino, 40 anni. Ha avuto lo zio assassinato dalla mafia, un uomo inerme e buono. Nelle file occupate dai detenuti ci sono suoi concittadini ergastolani, mafiosi in cella senza permesso da trent' anni. Dice: «Sono miei concittadini. Per un sindaco sono come figli. Non c' è differenza tra quelli con dieci in condotta e quelli che hanno fatto errori. Mi ha colpito una frase che mi è stata riferita: chiedono scusa alla città che rappresento. Io li perdono. Ma la responsabilità di ciò che hanno fatto non è solo loro, mi assumo il carico di vergogna perché li abbiamo lasciati nascere nella mafia». Sale al microfono un signore compito, in cella da quando aveva 23 anni, si dispiace di aver perso l' accento di Palma, perché da trent' anni ha girato carceri in Toscana, a Roma, e ora a Milano, senza mai tornare a casa. Dice: «Non sono stato un buon figlio. Chiedo ancora scusa. Non dimentico cosa ho fatto. Si può venire a patti con il Tribunale nei Palazzi di giustizia, ma non si patteggia con il tribunale della coscienza». Non so voi, io mi tolgo il cappello. L' Istituto di detenzione di Opera, alle porte di Milano, è il più grande d' Italia. Qui il numero di ergastolani sorpassa quello di qualsiasi altra prigione, e c' è una dirigenza e una polizia penitenziaria che fanno scuola nel mondo. Soprattutto ci sono i reclusi per i quali non era prevista alcuna possibilità di redenzione. Invece adesso sì. di Renato Farina

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