A registrare i profughi in arrivo a Milano adesso ci pensa il Comitato italo-africano di liberazione di Porta Venezia. Sì, perché tra via Lazzaro Palazzi e i giardini Montanelli gli abitanti non ce la fanno proprio più: di giorno le strade sono prese d’assalto da centinaia di profughi, la notte scoppiano risse e baruffe per un nonnulla. L’ultima sabato mattina in via Tadino: tre uomini si prendono a botte sul marciapiede, tra le macchine che passano e la gente che osserva - esterrefatta ma anche preoccupata - dalla finestra. Così hanno pensato che se lo Stato non è in grado di identificare i profughi che stazionano sui Bastioni tocca ai cittadini darsi da fare. E hanno predisposto un modulo, una sorta di «attestato del migrante» verrebbe da dire: loro la definiscono più semplicemente «una tessera», ma il risultato non cambia. È un foglio di carta con nessun valore istituzionale, intendiamoci, però contiene tutte quelle informazioni che dovrebbero essere raccolte dai Cie e che invece spesso le forze dell’ordine non riescono a ottenere. Della serie: nome, cognome, Paese di residenza, data e luogo di nascita, giorno di arrivo in Italia. Cose così. Più una fotografia del migrante di turno e le impronte digitali, ma solo se «il titolare di questa carta ha fornito volontariamente i dati». Sotto, prima della firma del membro del Comitato che (a questo punto) attesta lo status di rifugiato, si legge: «Invitiamo le autorità competenti ad aiutare il possessore, cittadino del mondo, di questa “carta europea per i rifugiati di guerra” perché verte in gravi difficoltà e ha bisogno di assistenza». Il tutto in inglese che, si sa, è una lingua internazionale e all’estero si parla di più. «La nostra è una provocazione», chiarisce subito Paolo Uguccioni del Comitato di Liberazione di Porta Venezia: «Ovviamente questa tessera che porta in calce anche il simbolo della nostra associazione non ha nessun valore legale. Ma è vergognoso che le autorità dicano di schedare i profughi in arrivo quando non riescono nemmeno a identificarli, e questo vale in particolar modo per i bambini». Già, i minori. Il Comitato di Uguccioni e di Luca Longo ha da sempre un occhio di riguardo verso la problematica dei più piccoli: «Monitorare il flusso di rifugiati in Italia significa anche prendersi cura dei bambini. Non possiamo guardare dall’altra parte e fare finta che non esistono: è abbandono di minori, è un reato», puntualizzano. E dire che a dar man forte al Comitato ci sono le principali comunità africane di Milano. Non solo quella eritrea e quella etiope che già nei giorni scorsi avevano comunicato il loro appoggio ufficiale e la volontà di dire basta al degrado e ai bivacchi dei profughi sui Bastioni, ma da una manciata di ore anche quella somala. Si è iscritto, infatti, Mohamed Kalif, presidente dell’Unione giovanile somala di Milano: la sua associazione conta ben 400 iscritti all’ombra della Madonnina e a sentire lui non ci sono dubbi, si iscriveranno tutti al Comitato di Porta Venezia. «Vogliamo aiutare i nostri compatrioti, e lo faremo. Solamente andando avanti uniti potremmo costruire qualcosa per il futuro», dichiara. Questa mattina la Commissione Sicurezza di Palazzo Marino effettuerà un sopralluogo nella zona, tra via Panfilo Castaldi e via Palazzi, dove appunto si trova la comunità eritrea. «Ci saremo», fa sapere Uguccioni, «perché i veri interlocutori del Comune in questo caso siamo noi, sono i cittadini. Ma saremo presenti anche per far capire agli esponenti di questa amministrazione che noi non siamo per la contrapposizione, bensì per la collaborazione». di CLAUDIA OSMETTI